Gualtieri presenta il suo ’Il libro che non c’è’

La poetessa sarà domani alla Malatestiana per l’anteprima della raccolta con i versi inediti dedicati alla sua città di orgine

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di Raffaella Candoli

Dieci anni di ’belle parole’. La rassegna letteraria di promozione della lettura ’La Bellezza delle parole’, organizzata da comune, biblioteca Malatestiana e sei librerie cittadine, che si svolge da domani a domenica, con nomi di richiamo quali Paolo Nori, Piero Dorfles, Roberto Saviano contempla un’anteprima particolarmente cara e attesa dai cesenati, a cura della poetessa Mariangela Gualtieri che domani alle 21, nella sala proiezioni della Malatestiana interpreterà ’Il libro che non c’è. Inediti sottovoce alla mia città’. Mariangela, a ’Le giovani parole’, ha dedicato una raccolta del 2015. Qual è la potenza delle parole e che fascino esercitano su di lei che le fissa sulla carta?

"È così grande la potenza delle parole che a volte mi chiedo se non siano le parole ad avere inventato noi. Sono potenti ed enigmatiche, come ci insegna lo studio dell’etimologia, coi suoi rimandi infiniti verso un’origine che tuttavia resta sempre sepolta, irraggiungibile".

Jovanotti ha nei suoi confronti un rapporto di particolare ammirazione: a Sanremo la cita e recita i versi di ‘Bello mondo’, a Domenica in ha declamato ‘Ringraziare Desidero’, nella edizione 2018 di ’Ciò che ci rende umani’, siete insieme sul palco e lui, con la chitarra propone una canzone su un suo testo tratto dallo spettacolo Giuramenti. Così diversi, ma così affini?

"Siamo affini come tutti coloro che amano la poesia, che la fanno entrare dentro la propria vita a sollevare, a disvelare, a consolare, a esaltare, ad arricchirla insomma. Lorenzo è affamatissimo di versi, se li tiene sempre vicini, ne cerca continuamente di nuovi. Il suo orecchio gli fa bene intendere la differenza fra poesie e canzoni, e il suo entusiasmo lo fa diventare un magnifico sostenitore e diffusore di poesia".

Il ’libro che non c’è’ significa che i versi per la sua città non sono stati pubblicati?

"Non sono mai stati pubblicati su un libro, alcuni sono usciti su riviste, di altri sono io l’unica lettrice".

È autrice di ’9 marzo 2020’, che descrive la condizione umana, sorpresa e impedita alla quotidianità dal Covid. Cosa rappresenta ora un ritorno alla quasi normalità?

"Non parlerei di normalità. È un ritorno allo squilibrio mondiale di prima, ora ancora più aggravato dalla guerra in Europa. Purtroppo, la pandemia non è riuscita a farci cambiare il modo di vivere e di consumare, né a farci prendere più cura degli altri viventi sul pianeta".

Un cenno anche al teatro Valdoca di cui è cofondatrice. La parola ha bisogno dell’arte scenica?

"La mia poesia deve tanto al teatro Valdoca e al lavoro con Cesare Ronconi. Il sodalizio fra verso e teatro è fra i più alti che si possano praticare. In teatro la poesia vive tutta la forza dell’oralità, risuona della propria musica verbale, mentre il teatro torna alle proprie origini, potenziandosi con una lingua che esce dall’appiattimento della lingua corrente e tiene in sé le potenze del silenzio".

Le parole sono belle anche quando esprimono concetti che di bello non hanno nulla? "Se parliamo di poesia sì, certo. Anche la più triste poesia di Leopardi, è dotata di una musica che ci solleva. Le parole sono belle ma purtroppo si logorano, e si logorano proprio quando nascondono o coprono il vuoto di chi le sta usando, quando sono solo rumore. La poesia descrive a volte sentimenti che scopriamo di avere nell’esatto momento in cui la ascoltiamo".