"Il calvario di mio padre ricoverato in clinica"

Lettera di denuncia all’Ausl e alla Regione da parte della figlia di un uomo di 88 anni poi deceduto ufficialmente per Covid

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"Fare la giornalista in Rai non può essere un privilegio per poter dare da mangiare al proprio padre di 88 anni ricoverato in ospedale. Tutti i parenti - visto che lo stato dì emergenza per Covid non c’è più - dovrebbero avere questo privilegio, specie se il personale addetto non lo fa". E’ una denuncia forte e accorata quella che Giovanna Greco, giornalista della Rai di Bologna, ha presentato alla Regione e all’Ausl Romagna. Il caso sollevato è quello del ricovero, prima in clinica e poi in ospedale, dell’anziano padre. Le sue accuse sono terribili ma circostanziate: assistenza insufficiente, diagnosi inadeguate (Covid) e infine l’epilogo: la morte.

La giornalista ripercorre il calvario del padre in una lunga e dettagliata lettera. Il ricovero al Bufalini dopo una serie di rigurgiti scuri. Il trasferimento alla clinica San Lorenzino, convenzionata, perché in ospedale non c’era posto. La diagnosi, una infezione intestinale aggravata da una broncopolmonite. La figlia denuncia difficoltà a far visita al padre e ottenere informazioni dai medici (superate solo in virtù dello status di giornalista, ma non dovrebbe essere diritto di tutti?) e la ‘scoperta’ delle condizioni di ricovero: "Campanelli assenti o staccati dal letto. L’acqua non viene data dagli infermieri perché io per una settimana ho trovato la bocca di mio padre con le crosticine, così come crosticine agli occhi e piante dei piedi secche come fossero stati giorni e giorni dentro un paio di anfibi". In più, orari di consumo dei pasti ridotti a dieci minuti, impossibili per un paziente cardiopatico e indebolito. Il 12 aprile l’uomo viene dimesso, ma appare alla figlia in condizioni pessime: "Era nervosissimo, sudato, disidratato, piedi gonfi.. . Insomma le sue condizioni erano peggiori di quando era stato ricoverato".

Il medico di base, valutato che il paziente ha una saturazione bassissima, prescrive un nuovo ricovero il 14 aprile. "Arrivato al pronto soccorso all’ospedale Bufalini di Cesena, gli è stato diagnosticato il Covid. Come si fa a trattare i malati così? Questa si chiama cura? Si dimette un paziente senza fare il tampone? Io trovo tutto vergognoso".

Il calvario si conclude con il decesso, ufficialmente per Covid. Tutto questo in una regione che si vanta di avere una sanità d’eccellenza, osserva la figlia della vittima.

L’Ausl Romagna, da noi interpellata, informa che la lettera è già alla sua attenzione: " La Direzione Sanitaria di Presidio, tramite l’Ufficio Relazioni con il Pubblico Urp (servizio preposto per queste segnalazioni), si è attivata coinvolgendo i servizi aziendali interessati e anche la Direzione sanitaria della San Lorenzino con cui l’Azienda è convenzionata, per effettuare le dovute e necessarie verifiche su quanto segnalato ai fini di accertare eventuali mancanze.L’Azienda esprime le proprie condoglianze e il proprio rammarico per la triste vicenda rappresentata e si riserva di fornire alla signora Giovanna Greco una risposta compiuta su quanto segnalato, a conclusione della relativa istruttoria, che sarà condotta nell’ambito delle funzioni di vigilanza e controllo esercitate dalla Azienda sui livelli qualitativi delle prestazioni erogate dalle strutture private accreditate che erogano prestazioni sanitarie in nome e per conto del Servizio sanitario regionale".

"Qualora dovessero emergere situazioni problematiche presso la struttura convenzionata – conclude la nota di replica – , la Direzione dell’Azienda sanitaria darà immediatamente corso alle azioni conseguenti, perché la sicurezza e la qualità delle cure mediche prestate ai pazienti -qualità irrinunciabile per il Servizio sanitario regionale dell’Emilia-Romagna- non può, e non deve essere, una variabile dipendente dalla struttura presso cui la persona è ricoverata".