"Il mio debutto con un film sul ‘caso Cuomo’"

La regista Sara Alessandrini racconta la nascita del lungometraggio girato a New York che sta ottenendo numerosi riconoscimenti

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di Maddalena De Franchis

Si è talmente appassionata alla vicenda che ha coinvolto, nei mesi scorsi, l’ormai ex governatore dello stato di New York Andrew Cuomo – uno scandalo per molestie sessuali degno del miglior film d’inchiesta americano – che un film l’ha girato davvero, ma indipendente e interamente autoprodotto: la 34enne cesenate Sara Alessandrini, da anni residente a Los Angeles, sta facendo man bassa di premi con il suo primo lungometraggio, ‘This is what New Yorkers say’ (letteralmente, ‘Questo è quanto affermano i newyorkesi’), uscito lo scorso giugno e passato in numerosi festival.

Alessandrini, com’è nata l’idea di cimentarsi in un documentario?

"Lavoro nel mondo del cinema da anni (attualmente è manager in una compagnia no-profit del settore, ndr), ma negli ultimi anni i progetti di regia non mi entusiasmavano più. Mi limitavo a girare qualche videoclip nel poco tempo libero a disposizione. Durante la pandemia, però, il cinema si è fermato a lungo e ho cominciato a seguire con più attenzione la politica statunitense, in particolare la gestione dell’emergenza da parte dei governatori degli stati più influenti".

Tra cui l’allora governatore dello stato di New York, il democratico italo-americano Andrew Cuomo.

"Rivestiva quel ruolo da una decina d’anni, ma durante il Covid è stato duramente attaccato da stampa e opinione pubblica per le misure da lui adottate per contenere il contagio. Un accanimento trasformatosi in vero e proprio assedio dopo la pubblicazione di un dossier in cui undici donne lo accusavano di ‘comportamenti sessuali impropri’".

Cosa conteneva quel dossier? "Accuse francamente ridicole. Una donna lo accusava, ad esempio, di essere stata baciata sulle guance durante un matrimonio; un’altra di aver ricevuto domande personali, del genere: ‘Hai un partner?’ o ‘Cosa fai nella vita?’. Nessuno, però, si è preoccupato di guardare le carte e, quando è emersa la notizia, Cuomo è stato travolto dal fango. La stampa e l’intero mondo politico americano, compreso il presidente Biden, l’hanno condannato senza appello".

Cos’è successo poi?

"Circa un anno fa, ad agosto 2021, Cuomo ha rassegnato le dimissioni. Proprio in quel momento mi trovavo a New York e ho pensato fosse un segno del destino: ho deciso di realizzare un lungometraggio per raccontare come stavano davvero le cose".

Qual è, dunque, la verità?

"Specialmente dopo la pandemia, qui si è instaurato un clima di paura ed esasperazione diffusa, una vera e propria ‘caccia alle streghe’. Non è la prima volta che accade nella storia degli Stati Uniti, ma in questo caso ci sono i social media a fare da cassa di risonanza. In particolare, il movimento ‘me too’ (il movimento femminista contro le molestie sessuali, nato nel 2017) ha assunto una deriva grottesca, tale da snaturare le relazioni tra uomini e donne. Il terrore delle molestie ha il sopravvento su tutto".

È stata la gente di New York a raccontarle tutto questo?

"Sì, il documentario contiene centinaia di conversazioni con persone comuni, abitanti di New York di nazionalità ed estrazione sociale molto diverse fra loro. Si parla di politica, del ruolo dei media, ma anche dei diritti delle donne".

Il documentario ha ricevuto recensioni entusiastiche e numerosi riconoscimenti. Se lo aspettava?

"Decisamente no (ride, ndr). È stato apprezzato soprattutto il mio sguardo obiettivo, una critica che mi ha reso molto felice. Per me è un sogno che si avvera".