"Il mio viaggio nella fragilità dell’infanzia"

Silvio Orlando da giovedì a domenica al Bonci con il monologo ‘la vita davanti a sè’. Una storia di emarginazione e sentimenti forti

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di Raffaella Candoli

È una grande prova d’attore quella che Silvio Orlando, apprezzato interprete di cinema, tivù e teatro mette in scena al Bonci da giovedì a sabato alle 21, e domenica alle 16. Da solo sul palco, accompagnato dall’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre, ne "La vita davanti a sé" (Premio miglior monologo Le Maschere del Teatro Italiano 2022, dal romanzo di Romain Gary), Orlando è, senza manierismi, il preadolescente Mohamed detto Momò, nato da un padre sconosciuto e da una prostituta da cui non riceve mai una visita, che insieme ad altri piccoli sfortunati con la stessa sorte, vive al sesto piano di uno scalcinato condominio nel malfamato quartiere di Belleville, nella periferia parigina, affidato alle cure di una anziana e obesa madame Rosa, ebrea, ex prostituta. In un ambiente di degrado sociale ed economico, non vengono intaccati i sentimenti, che tra Rosa e Momò si trasformano in amore parentale.

Silvio Orlando, in carriera è stato tanti personaggi, ma come ci si cala nei panni di un bambino?

"Ascoltandolo e ascoltandosi. Ho letto questo testo qualche anno fa e si è impossessato di me, mi ha parlato della fragilità dell’infanzia, di quei bambini indifesi, vittime delle violenze del mondo. Di quelli che vivono ai margini, che hanno le stesse esigenze di tutti gli altri, senza discriminazioni, che invocano un bacio, e anche una sgridata o una punizione perché rappresentano un segno di attenzione".

Una storia drammatica, di solitudine ed emarginazione?

"Certo, se vista con gli occhi adulti e la consapevolezza di chi conosce il resto del mondo e le sue storture. La Parigi delle banlieu degli anni Settanta viveva già quei fenomeni di immigrazione e commistione di etnie, religioni, odori, sapori che in Italia stiamo conoscendo in tempi più recenti. Ma qui tutto è visto con gli occhi di un bambino che ama, ricambiato, di un amore filiale quella donna grassa, con quattro capelli in testa, malata e che accoglie i bambini delle prostitute in cambio di soldi. Certo per Momò scoprirlo sarà una grossa delusione, ma i piccoli hanno memoria breve, e gli stati d’animo vivono il momento: dai capricci e il pianto passano alla risata, suscitano tenerezza per la loro imprevedibilità e regalano anche momenti ironici".

Un legame quello tra Rosa e Momò che resiste nonostante la comparsa del padre.

"Beh, un padre condannato per avere ucciso la madre del ragazzino, una prostituta della quale era protettore. Madame Rosa si oppone alla volontà dell’uomo di avere Momò con sé; durante la discussione lui avrà una crisi cardiaca e morirà. Tra madame Rosa e Momò si ristabilisce quel legame di similitudine che esiste tra vecchi e bambini".

Momò dovrà poi confrontarsi nuovamente con la morte, quella dell’unica persona che gli è cara.

"Sì, Rosa non vuole morire in un letto d’ospedale e Momò la accompagna in cantina dove la donna ha allestito un sacrario ebraico, e con lei attenderà la sua morte".

Qual è la funzione dell’Orchestra?

"Di accompagnare le suggestioni della narrazione: uno strumento etnico ti porta alle atmosfere dell’Africa, la fisarmonica in Francia, il clarinetto alle shofar ebraiche".

E a fine spettacolo lei si unisce all’ensemble e suona il flauto traverso.

"In gioventù avrei voluto dedicarmi alla musica, ma non ero ricambiato. Ho fatto l’attore. Con quel che pago i musicisti (ride!) sono obbligati a farmi partecipare alla festa popolare che si scatena a fine serata".