"La casa editrice? Un’idea di mia moglie"

Roberto Casalini festeggia i trent’anni de ‘Il Ponte Vecchio’ con la pubblicazione di un libro di memorie: "Concepito nella pandemia"

di Elide Giordani

Come sarebbe oggi il mondo dell’editoria romagnola senza la Società Editrice "Il Ponte Vecchio"? Si potrebbe partire da qui per immaginare un grande vuoto che si allarga laddove oggi c’è l’energia di 2.700 libri, la fibrillazione delle idee e dei confronti, l’intensità dell’impegno e delle emozioni di chi si è espresso attraverso la parola scritta e di chi ha letto nella condivisione profonda o nello stimolo al distinguo. Proprio oggi la casa editrice fondata da Roberto Casalini e i suoi due figli compie 30 anni e per tutto quanto sopra non è una data che riguardi solo loro. Contestualmente esce anche l’autobiografia di Roberto Casalini, "Le scoperte, i sentieri", storia intensa di una vita vissuta con pienezza, anch’essa specchio di molte epoche, quelle dei suoi 83 anni.

Casalini cosa l’ha spinta a scrivere e pubblicare proprio ora la storia della sua vita?

"Non il 30esimo della casa editrice, ma la pandemia. Il mondo se ne stava lì a tacere e io ho sentito il bisogno di farlo vivere. Avevo da tempo un’idea del genere, soprattutto pensando alle mie due nipotine, per lasciare loro una traccia di quello che il nonno ha fatto di bene o di male nel mondo".

Ci deve essere stato tuttavia un momento in cui l’opera è iniziata.

"Una mattina mi sono svegliato con una frase in testa, ossia se penso al passato ho davanti il silenzio ma se interrogo la memoria il deserto si riempie di voci. Mi sono detto, è ora che tu lo faccia. Non ho consultato alcun documento".

Questo testimonia una memoria prodigiosa, il libro è ricco di voci, luoghi, situazioni.

"Ho avuto modo di dirlo a suo tempo al vescovo Lanfranchi, da agnostico penso che l’anima sia la memoria, ossia quelle che abbiamo detto, amato, scelto. Se mai accadrà di presentarci davanti al Creatore è con la memoria che testimonieremo noi stessi".

Da Gambettola, a Montalto di Castro, a Canosa e infine a Cesena. Da studente nella scuola sbagliata ad autodidatta, a maestro elementare, a laureato con grandi riconoscimenti, docente dei maestri per i concorsi magistrali, a politico, amministratore e infine editore. Ci sarà tra tutti questi impegni qualcuno in cui si è riconosciuto di più?

"Il tempo più nitido e che sento come fondante della mia persone è quello dell’insegnare. La mia vita è stata caratterizzata anche dalla passione politica, ma è stata la stessa passione politica di quando facevo l’insegnante. La pedagogia non può non essere ricca di politica".

C’è qualcosa dell’insegnare anche in una casa editrice?

"Discutere dei destini dell’uomo o anche del destino del più piccolo dei villaggi è produrre conoscenza, prima di tutto per me".

Lei spende parole di grande intensità per sua moglie Lara e le attribuisce l’idea della creazione de "Il Ponte Vecchio".

"E’ così, come per molte altre decisioni della nostra famiglia, è stata il mozzo che muove le ruote. Sento come istinto quello di essere famiglia che svolge un ruolo nel sociale. Non ci siamo isolati, abbiamo sentito la collettività come luogo della vita".

Anche la casa editrice è collettività, soddisfatto di questi 30 anni?

"Soddisfatto di essere stato l’editore che ha pubblicato il maggior numero di libri che siano mai apparsi a Cesena in 500 anni. E’ una quantificazione che mi viene da Marino Biondi. Siamo nati senza una lira, mai chiesto niente a nessuno. Ho pubblicato libri di ogni tendenza politica, ma oggi la casa editrice è in mano mia in piccolissima parte, l’attività fondamentale la conduce mio figlio Marzio".

Cosa ci sarà nel futuro?

"Ci siamo sviluppati facendo perno sulla storia e l’antropologia culturale della Romagna. L’identità è il fondamento della nostra libertà, è la risposta all’omologazione. In questa linea continueremo".

E i suoi gatti, presenti nella vita e nelle pagine?

"Non sono una malizia letteraria. Sono pentito di averne parlato poco. Sono ancora intorno a me, come fermalibri semoventi".