GABRIELE PAPI
Cronaca

La storia sotto Porta Santi Intreccio di passioni e delitti

Ufficialmente è intitolata al colonnello garibaldino Eugenio Valzania. Nel XVI secolo venne spostata: in origine era all’altezza del teatro.

La storia sotto Porta Santi  Intreccio di passioni e delitti

La storia sotto Porta Santi Intreccio di passioni e delitti

di Gabriele Papi

Porta Santi (Porta dei Santi): uno dei punti cardinali della geografia cesenate. L’aspetto curioso è che questo è l’antico nome popolare, ancora corrente: il nome ufficiale all’anagrafe toponomastica è Porta Eugenio Valzania, come si legge nella targhetta in ceramica, cornice blu, sulla colonna destra della Porta. Inoltre nell’800 fu detta Porta Romana. Se le antiche vestigia cittadine potessero parlare avrebbero da raccontarci storie fino al dì del giudizio. La pista del perché dei diversi nomi è interessante: ripercorriamola. Cominciamo dal nome ‘ufficiale’: Porta Eugenio Valzania. Nel 1889 il consiglio comunale, su proposta del consigliere Pietro Turchi, approvò l’intitolazione della Porta e del sobborgo al cesenate Eugenio Valzania, colonnello garibaldino spentosi nel febbraio precedente con epitaffio programmatico: "Una fu la fede. E fui Eugenio Valzania", laddove per fede va intesa quella garibaldina. I suoi funerali furono un’epopea: rigorosamente senza prete, ottomila persone, duecento cinquanta bandiere da tutta Italia, il corteo intervallato da nove bande e fanfare: finiva una, cominciava l’altra, la musica come elaborazione del lutto. Quanto a Porta Romana, era così chiamata nei tempi in cui la Via Emilia sbisciava dentro Cesena per proseguire il suo percorso fuori porta verso Roma. E Porta dei Santi, (‘Seint’ in dialetto) allora? Prendeva il nome dal borgo omonimo che ospitava parecchie chiese dedicate a vari Santi. Questo borgo fino al 1517 era fuori città. La vecchia Porta era posta, per avere un’idea, all’altezza del Teatro e venne poi avanzata e inclusa nella cinta muraria cesenate: era detta ‘Porta Sanctorum’ e, nel pittoresco linguaggio medioevale: ‘Batticalcagno’.

Il borgo di Porta Santi ha visto generazioni di personaggi . E vide anche, la sera del 20 marzo 1889, il più efferato delitto della Cesena d’allora: il brutale omicidio durante un tentativo d’estorsione del conte Filippo Neri mentre tornava alla sua villa al Monte. L’autopsia conterà ventun coltellate e quella sera si era sentito suonare a tutto fiato la fanfara nella vicina osteria di Pagliaccio: per coprire le richieste d’aiuto e i ‘ruggi’, cioè le urla del conte? Sotto altre latitudini quella truce vicenda - ci vorranno dieci anni in una Cesena impaurita per portare alla sbarra e condannare i colpevoli- avrebbe già ispirato film o serie televisive. Della serie: quando la cronaca nera è oltre ogni sceneggiatura possibile. Dei condannati appartenenti alla squadra settaria di Porta Romana due si beccarono l’ergastolo: gli accoltellatori Giuseppe Brandolini, detto Limòn, bracciante e Vincenzo Vincenzi, detto Mingòn, piccolo possidente e contrabbandiere di Montenovo di Montiano. La frase udita da un testimone dietro una siepe, che finalmente si decise a testimoniare: “Basta Limòn (cui Limòn, preso dall’imbestio rispose: "No, voglio dargli un altro colpo perchè è ancora vivo") divenne un modo di dire proverbiale contro ogni accanimento. Ancora in anni recenti capitava di sentir dire ad anziani cesenati sconsolati per aver ricevuto la bolletta con la pesante fattura da pagare per il gas: "E basta Limòn, t’a mè mazè" (basta Limòn, mi hai ammazzato).