"Lavoro, la parità è sempre lontana Le donne guadagnano meno"

Silla Bucci, segretaria generale Cgil Cesena, traccia il quadro della disparità salariale: "Nelle stesse mansioni stipendi più bassi degli uomini fino al 32%, più della media nazionale"

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di Elide Giordani

Per chi pensa che la discriminazione di genere sia oggi più una querelle des femmes che non un reale divario di opportunità. Nella giornata dedicata ai diritti delle donne un occhio alla disuguaglianza salariale evidenzia come la corsa ad un riconoscimento equo del lavoro, per il mondo femminile, sia una battaglia ancora da combattere. I dati nazionali parlano di una disparità degli stipendi che va tra il 5 e il 20 per cento? "Le cifre dell’Osservatorio del Lavoro riferite al nostro territorio - evidenzia Silla Bucci, segretaria generale Cgil di Cesena - ci dicono che le donne di Forlì e Cesena, pur nelle medesime mansioni, guadagnano in media il 32 per cento in meno degli uomini". Come si articola questa disuguaglianza?

"Non registra scostamenti tra operai, impiegati e dirigenti. Il divario salariale del 32 per cento resta il medesimo in ogni categoria".

Le lavoratrici sono pagate di meno perché lavorano meno, sono meno produttive o sono discriminate?

"C’è un insieme di cause. Innanzitutto nel nostro territorio il 50 per cento delle donne è soggetto alla gabbia salariale del part time involontario. E’ forte, anche qui da noi, il pregiudizio che la donna debba occuparsi obbligatoriamente anche della famiglia e dunque che la flessibilità del lavoro sia per lei un dato di fatto. Se il datore di lavoro deve scegliere a chi imporre il part time sceglie una donna".

Dunque le donne finiscono per avere nel loro bagagli meno ore lavorate?

"Si, e vale lo stesso per gli straordinari, che vengono chiesti soprattutto agli uomini. Ciò denota un sistema produttivo regolato molto sul modello maschile. Anche nelle nostre aziende quanti sono i responsabili di produzione o capo turno donne? Pochissimi".

Possiamo parlare di discriminazione?

"Sì, soprattutto se si considera che le donne presenti nel mondo del lavoro possono esibire titoli di formazione più alti e con performance di maggior valore, in più si laureano rispettando i tempi, ma quando interagiscono con il mondo del lavoro, per una serie di fattori, finiscono in fondo alla lista".

C’è la sensazione che la pandemia abbia spinto ulteriormente le donne verso gli obblighi domestici a scapito del lavoro?

"Ha inciso su tutti, ma ancora di più sulle donne e ciò a causa dei problemi strutturale già da prima presenti nel mondo del lavoro. In più nelle cosiddette nuove assunzioni, ossia contratti precari, salario basso e scarsa qualità di vita, per la stragrande maggioranza troviamo giovani e donne".

L’introduzione dello smart working ha inciso sul lavoro delle donne?

"Occorre distinguere tra smart working e telelavoro. Quest’ultimo caratterizza il lavoro a distanza che è stato obbligatorio nel momento più acuto della pandemia. Per le donne non rappresentava l’impegno esclusivo poiché restavano tutti gli altri obblighi familiari, portandole ad uno stress fisico ed emotivo molto forte. Lo smart working invece è il lavoro che si può svolgere da qualunque luogo e deve sottostare a regole precise, a partire dalla disconnessione". Che battaglia porta avanti il sindacato per una maggiore uguaglianza salariale tra uomo e donna?

"Agiamo sui livelli della contrattazione per migliorare le condizioni delle donne e abbattere il gender pay gap. Da sola però non basta se non è supportata dalla legge".

La maternità è un deterrente per l’occupazione femminile? "Ci sono imprenditori che al colloquio chiedono alle donne giovani se hanno intenzione di avere figli e diverse donne non sono potute tornare al lavoro a termine dopo la maternità".