Le alluvioni del passato Gli antichi detti popolari sul Savio straripato

Un modo di dire ricorrente era ’mangiare come il fiume davanti a Martorano’ a causa delle esondazioni frequenti in quel borgo. Gli indovinelli a i bambini.

Le alluvioni del passato   Gli antichi detti popolari   sul Savio straripato

Le alluvioni del passato Gli antichi detti popolari sul Savio straripato

di Gabriele Papi

La storia è il futuro sotto casa: nella buona e nella cattiva sorte. ’Lunga lungagna la vèn da la muntagna la pasa zò in t’è pièn la rògia coma un chen” (lunga lunga, vien giù dalla montagna, scorre sulla pianura, urla come un cane).

Era un antico indovinello in dialetto che la gente abitante nei pressi del fiume insegnava ai bambini: la risposta a quel indovinello era la temuta fiumana, incontenibile nella sua furia. C’era un tempo, rispetto ad oggi, maggior dimestichezza e timore verso con questi fenomeni naturali, confidando che non fossero eccezionali, cioè disastrosi.

Appare significativo anche un altro modo di dire dialettale della Cesena di ieri: “magnè quant e fiòm in pèt a “Marturèn”: mangiare come il fiume davanti a Martorano, perché un tempo il nostro fiume Savio esondava spesso senza ritegno soprattutto davanti quel borgo.

Secolare è la storia della lotta della nostra gente per cercare di disciplinare, contenere le acque improvvisamente ribelli di fiume e torrenti in una terra faticosamente riscattata dal lavoro dell’uomo: terra della bassa Romagna che anticamente, e geologicamente, era stata valle e palude.

Anche la “Giùla”, il torrente Cesuola che attraversava il centro cittadino (dove oggi scorre sotto terra) ha combinato disastri in altri tempi.

Altrettanto ha fatto in tempi storicamente più vicini a noi il torrente Pisciatello che, come dice il nome stesso, appare quasi sempre come uno smilzo rigagnolo d’acqua ma che quando si carica di piogge può veramente diventare debordante.

Basti ricordare che nell’ottobre del 1944, alla vigilia della liberazione di Cesena, le truppe alleate della VIII armata dovettero improvvisare un ponte per passare il Pisciatello in piena, che tornò ad allagare le campagne di Ponte Pietra e la strada per Cesenatico nel 1973.

Le fiumane, tempo addietro, avevano in genere una loro stagionalità: quasi sempre alla fine dell’estate dopo i primi temporali e dopo le burrasche d’autunno.

Oggi lo scenario è cambiato, per il combinato disposto di una serie di concause quali cambiamenti climatici e nubifragi mai visti cadere in precedenza con tale sequenza e intensità alle nostre latitudini, come è capitato quest’anno nei giorni della prima metà di questo maggio. Si tratta di nubifragi che hanno inoltre squassato la terra sofferente delle colline e dell’Appennino, scaricando fango, devastando strade e colture: la fragilità idrogeologica è il tallone d’Achille della nostra montagna, e di gran parte d’Italia.

Non spetta al cronista fare prediche, ma semplicemente raccontare: prevenzione lungimirante e scelte radicali di “ricucitura” del territorio sono compito dei decisori, dopo l’emergenza e senza più rinvii che sarebbero oltre che deletei a questo punto inaccettabili.

Intanto il pensiero corre alle molte famiglie che anche da noi hanno patito danni ingenti, perdendo tutto o quasi.

Oltre ai sacrosanti risarcimenti per i danni subiti dentro la propria abitazione, va tenuto in conto che molti cesneati e romagnoli hanno perso anche i ricordi di famiglia, parte importante della nostra vita.

Tuttavia, ecco un messaggio sorridente, i ricordi si possono sempre ricostruire dentro di noi.

Domani è un altro giorno: il sangue romagnolo non è acqua. È la forza dei romagnoli come sempre.

Con in prima fila, tra gli altri, i tanti “burdèl” che stanno dando spontaneamente una bella mano a chi è in difficoltà. Si sono voluti chiamare ’ i ragazzi del paciugo’, nel 1966 a Firenze vennero definiti gl iangeli del fango.

Romagnoli d’adozione sono divenuti tutti i soccorritori intervenuti da fuori: nessuno potrà mai dimenticarli anche in futuro, dopo l’alluvione del 2023.