Le gite a chilometro zero

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Andrea

Alessandrini

Anche se è un ossimoro, anzi una contraddizione in termini – almeno nell’ottica dei nostri ragazzi – sarà la primavera delle gite scolastiche (quasi) a chilometro zero. Che, presentate così, prima della pandemia avrebbero sollevato una rivolta di classe (scolastica). Ma adesso ben vengano: purché ci si alzi dal banco e si inforchi un pulman o un treno, naturalmente vaccinati, con mascherina e Super Green Pass. Arriva la zona bianca e anche gli istituti superiori cittadini hanno sbloccato i viaggi d’istruzione: massimo un pernottamento, la ciliegina sulla torta indipendentemente dalla meta. Rigorosamente italiana: le classiche Roma, Firenze, Venezia, Bologna, Verona, e le città con più echi artistici, ma anche uscite ambientali in agriturismo, nel nostro Alto Savio, o nella Valle del Bidente.

Un’opportunità per il sistema ricettivo territoriale e anche per i ragazzi: di scoprire le bellezze romagnole a contatto con la natura. ’Una gita scolastica’ come quella delicata e struggente del film omonimo di Pupi Avati, che nel 1914 – Grande Guerra incombente – fu concessa in premio per tre giorni agli studenti della classe migliore del liceo che attraversarono a piedi l’Appennino da Bologna a Firenze, guidati dal professore di italiano e dalla professoressa di disegno.

Anche oggi, oltre un secolo dopo, servono due insegnanti accompagnatori (più la riserva) per deliberare lo svolgimento di una gita scolastica. Ma è una responsabilità non di poco conto per i professori, e così si ingrossa la fila degli studenti che non hanno fatto neppure un viaggio di istruzione in cinque anni: esclusi dal ricordo condiviso, nelle future rimpatriate, delle gioie e dei retroscena nella mitica gita prima dell’esame di maturità, che prelude al primo grande distacco della vita.