Quella volta che Renato Serra (1884-1915) andò a Firenze in bicicletta insieme a Ferruccio Mazzocchi, inseparabile amico di scorribande. Il giovane letterato cesenate, già emergente in campo nazionale, si recava alla redazione de ‘La Voce’, la più vivace rivista culturale d’allora. Cesena-Firenze in bici è una bella sgroppata, chilometraggio degno delle eroiche tappe dei primi Giri d’Italia, già in auge. Giunti finalmente a Firenze -ebbe poi modo di raccontare Ferruccio Mazzocchi- i due ciclisti si fermarono sui gradini d’una chiesa per prendere respiro: ma erano talmente impolverati e affranti che una signora si impietosì e gli fece l’elemosina. Elemosina a parte, quando Serra ricevette il vaglia di ventisette lire per un suo articolo su ‘La Voce’ li divise fraternamente con Mazzocchi per una cena coi fiocchi al buffet ristoranti Casali, alla stazione. Serra aveva una bici da corsa Peugeot, manubrio basso, impegnativa da guidare ad andatura sostenuta: Mazzocchi era un meccanico e gli dette consigli tecnici. Non solo. Poiché Renato non era un ‘topo di biblioteca’, ma amava lo sport, il poker e le ragazze, Ferruccio gli aveva anche insegnato a ballare. Le feste da ballo erano i principali luoghi d’incontro con le ragazze: ma se non sapevi ballare non c’era trippa per gatti.
Nella prima metà degli anni 50 il giornalista Sergio Zavoli fece un reportage su Renato Serra intervistando i suoi amici cesenati ancora viventi: tra questi, ovviamente, Ferruccio Mazzocchi che a quel tempo gestiva una autorimessa in via Tiberti. Bella intervista, senza smancerie. Mazzocchi rispose che era molto amico di Renato, ma che con lui parlava di sport, mica di letteratura. Insieme ad altri ragazzi facevano gli sprint in bici su viale Mazzoni: e altri gustosi episodi. Come la volta che Renato gli chiese di accompagnarlo in stazione ad accogliere Benedetto Croce di passaggio a Cesena (il filosofo aveva subito colto la nuova luce che Serra stava portando nella cultura italiana). Dalla stazione si avviarono verso il centro, con Mazzocchi rispettosamente dietro, fino al Caffè Guidazzi (poi Bar Roma). Serra e Croce conversarono intensamente: intanto si erano fatte le 13,30. A quel punto Croce si rivolse a Ferruccio, fin lì silenzioso: e lei cosa dice? Direi che è ora di andare a mangiare, rispose Mazzocchi. Ha ragione, convenne Croce con una risata. La breve vita di Renato Serra fu immaturamente stroncata il 20 luglio 1915, appena all’inizio della Grande Guerra. Renato fu fulminato in trincea sul monte Podgora dalla pallottola d’un cecchino austriaco. Successivamente fu proprio Ferruccio Mazzocchi insieme al cesenate Gontrano Battistini (anch’egli amico di Serra) agli ordini del dottor Aldo Spallicci a riesumarne la salma, inumata in un cimitero alpino di guerra, per poi ricomporla in una bara di zinco inviata dalla signora Rachele, madre di Renato, per l’ultimo viaggio di ritorno a casa. Nel ricordo vivente dell’amico, Ferruccio Mazzocchi chiamò i suoi due figli Renato e Renata. Piccole grandi storie del quotidiano che restituiscono il sapore del tempo e dell’ amicizia sincera. Perché la cultura non è altro dalla vita, ma è dentro la nostra vita. A patto di non ‘tirarsela’: cosa che Serra non faceva mai.