L’odio dei cesenati contro i giacobini francesi

Primi di marzo 1797, sulle colline cesenate, esplode la rivolta contadina, un fuoco di ribellione che si estende fino al riminese e ai vicini comuni marchigiani. E’ la rivolta del popolo più povero esasperato dalla presenza dei francesi del giovane generale Bonaparte e dei loro alleati locali giacobini. Insediatisi solo da un mese, dopo avere cacciato il governo papale, con metodi spicci hanno proceduto a confische e tassazioni forzate che la popolazione, irritata da comportamenti spesso violenti dei soldati, non riesce più a sopportare, come non tollera le offese al sentimento religioso. Gli ’insorgenti’ ,così chiamati dai sostenitori del vecchio regime papalino, o i ’banditi’ o ’briganti’ come li appellano i filofrancesi, al grido di ’evviva il Papa e abbasso i giacobini’, sono a Capocolle, scendono sulla via Emilia a Savignano e Gatteo. Sono in mano agli insorti Sarsina, Mercato Saraceno e Sogliano, dove pare che i rivoltosi in armi assommino ad almeno cinquecento uomini al comando del capo locale Gioacchino Tornari. Nell’amministrazione giacobina si sparge il terrore e arriva a Cesena Giuseppe Luosi, presidente della giunta di difesa generale della Repubblica Cispadana che fa un rapporto della situazione paragonando il Cesenate alla Vandea, regione francese cuore della resistenza antigiacobina."Non è possibile individuare il preciso numero degli scellerati che infestano la strada e che vi commettono ogni sorta di eccessi. L’ odio loro è in singolar modo rivolto ai Francesi. I masnadieri professano la più alta devozione alla beata Vergine di cui portano l’ immagine sul cappello. Impongono ed esigono grosse contribuzioni, sono benissimo armati di fucili, baionette, di pistole, e muniti di polvere eccellente, di cartucce e di palle. Il loro coraggio confina con la temerità. Fanciulli, giovani e vecchi, ecco di che sono composti i rispettivi corpi". Luosi riferisce che si teme una prossima irruzione di controrivoluzionari. Tutte le strade sono insicure, "è un fuoco il quale,-conclude il funzionario- può facilmente degenerare in un incendio generale. La montagna è furente". Per spegnere la rivolta non bastano i soldati della repubblica giacobina Cispadana, devono intervenire i francesi e insieme al generale Chambarlhac è incaricato della repressione anche il collega Sahuguet. Le colonne francesi investono tutta la montagna cesenate spargendo il terrore, arrivando fino a Tavoleto nelle Marche dove si accaniscono sulla popolazione. Per aver ragione della rivolta i francesi capiscono che non bastano le armi così esercitano pressioni sulla gerarchia cattolica, come il vescovo di Cesena, monsignor Bellisomi, affinchè intervenga pubblicamente per richiamare i parroci e i fedeli al rispetto dell’ ordine. Così a fine marzo la ribellione sembra spenta anche se qualcuno resiste visto che un proclama di aprile del generale Sahuguet promette un premio in denaro a chi consegni ’insorgenti’ in armi.

Paolo Poponessi