Nel portico di corso Garibaldi dove si si susseguono in serie pubblici esercizi sino a via Montanari di fianco al teatro Bonci – Mascherpa, Zampanò, Caffé Martini Bistroit, Caffé degli Artisti – si è spenta una luce che ha brillato per 18 anni, quella del Caffé Mascherpa condotto da Piero Rossi, coadiuvato dalla nipote, in precedenza apprezzato chef.
Rossi, avete affisso sulla vetrata della porta un biglietto, lei e la sua collaboratrice, per salutare i clienti mettendoli di fronte al fatto compiuto.
"In realtà con i clienti più affezionati ci siamo salutati al Mascherpa in una serata conviviale affettuosa in cui abbiamo ricevuto degli attestati di stima e di affetto che ci hanno molto gratificato. Per tutti gli altri clienti che non c’erano abbiamo scritto il biglietto porgendo i nostri ringraziamenti".
Perché avete preso la decisione di chiudere il Mascherpa?
"Per una serie di cause. Posso andare in pensione e dopo una vita di lavoro è giusto pensare al riposo. Mia nipote che ha collaborato con me in questi anni non se l’è sentita di proseguire da sola e quindi ho cercato di cedere la gestione del Mascherpa ma non ho trovato acquirenti. A quel punto ero come diviso in due: da una parte l’idea di lasciare, dall’altra quella di proseguire perché a me fare il barista piace, attendere i clienti nel locale è una delle cose più belle che ci sia".
Perché allora ha abbandonato?
"Per un motivo molto semplice: non valeva la candela andare avanti perché i folli costi gestionali e le tasse rosicchiano i margini di utilità. Il Mascherpa lavorava, non posso certo lamentarmi per la carenza dei clienti, ma alla fine della fiera, sottratti tutti i costi, se calcoliamo gli introiti e le dodici ore al giorno in cui stavamo dietro il bancone, il guadagno orario finiva per non superare quello di chi va a lavorare nei campi suscitando la riprovazione dell’opinione pubblica. Ecco perché ho deciso di andare in pensione".
In questi diciotto anni il centro storico di Cesena ha cambiato faccia, si è riempito di pubblici esercizi. Siamo arrivati a un livello di saturazione?
"Non credo. Più locali ci sono più offerta si genera e la concorrenza fa bene a tutti. Il problema degli esercizi pubblici non è essere in molti e ravvicinati, ribadisco, ma è rappresentato dai costi gestionali insostenibili che anche se lavori bene ti erodono il guadagno in modo inaccettabile".