Miro Gori: "La Romagna? Epicentro degli anarchici"

Un guerrigliero, un poeta, un editore, un sindacalista. Sono solo alcuni dei tredici protagonisti del libro ’Ceppo e Mannaia. Anarchici e rivoluzionari romagnoli nel mondo’ (Interno4 edizioni) di Gianfranco Miro Gori, ex sindaco di San Mauro Pascoli, scrittore e presidente dell’Anpi di Forli-Cesena. Il libro, che verrà presentato domani alle 17 alla Cooperativa Idea di Gambettola, a cui seguiranno incontri anche a Savignano (15 dicembre) e Cesenatico (18 febbraio), incrocia il 150esimo anniversario della nascita dell’internazionale anarchica, avvenuta a Rimini nell’agosto del 1872. Gori ricostruisce attraverso queste pagine il ruolo fondamentale che i romagnoli ebbero nella nascita e diffusione del movimento anarchico mondiale.

Il titolo del libro riprende il saluto degli anarchici locali, perché i romagnoli sono stati così importanti per il movimento anarchico mondiale?

"La situazione romagnola è particolare, esiste una propensione storica alla socializzazione caratterizzata, per esempio, dalla moda del ballo. In questa socialità, anche grazie alla repressione pontificia, iniziano a farsi strada le idee repubblicane e i romagnoli partecipano in massa alle imprese garibaldine e mazziniane. All’interno di questo movimento iniziano a filtrare le idee socialiste e sul troncone repubblicano si innesta il socialismo che qui non è di tipo marxista, ma di tipo libertario. È un socialismo anarchico non autoritario. Per l’Internazionale gli italiani sono anarchici e uno degli epicentri è la Romagna. Un fattore determinate è, naturalmente, la situazione di grave miseria in cui versano i romagnoli."

Qual è il personaggio che più l’ha coinvolta?

"Amilcare Cipriani è un personaggio micidiale, molto cosciente del suo ruolo e anche narrativamente il più forte. Quelli che preferisco sono Pietro Cesare Ceccarelli, un combattente garibaldino che aveva un’idea della guerriglia geniale, e Carlo Valdinoci, giovane e bellissimo, amato dalle donne. Sono tutte figure da romanzo".

Gli anarchici del cesenate?

"Ci sono Pio Turroni di Cesena, editore e muratore, i savignanesi Ceccarelli e Mario Buda, Carlo Valdinoci di Gambettola e Giovanni Pascoli di San Mauro".

Un capitolo è dedicato proprio a Pascoli, lei è il primo a definirlo anarchico?

"I primi studi su Pascoli socialista risalgono allo storico riminese Renato Zangheri, poi ce ne sono altri, ma a iscriverlo direttamente nel mondo anarchico è stata Rosita Boschetti e subito dopo io. Pascoli ha fatto cinque anni da anarchico, non tirava le bombe, ma era schierato nei discorsi, poesie, e manifesti".

Perché c’è solo una donna ritratta nel libro?

"Vige comunque il patriarcato e lo spazio per le donne non c’è salvo per quelle più determinate e attive".

Cosa resta oggi di questi personaggi?

"Credo debba restarne la memoria e l’esempio. Parliamo di situazioni storiche e sociali diverse. Resta il loro insegnamento di eroi senza paura, hanno sempre pagato solo per un ideale".

È vera la vulgata popolare che vuole lo spirito del romagnolo anarchico?

"È riscontrabile una componente di ribellismo, antagonismo che c’era in quel periodo. Non si può mai considerare un carattere immutabile, però quella situazione storica ha fatto sì che i romagnoli fossero persone pronte a battersi per quello che pensavano giusto e migliore".

Lina Colasanto