Morto il fotografo Giampiero Zangheri Lascia 250mila scatti

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Come è solo il mirino: è morto a 79 anni Giampiero Zangheri (in una foto di vari anni fa) della dinastia di fotografi cesenati che hanno lasciato alla città un patrimonio inestimabile di 250mila fotografie lungo oltre quarant’anni di storia, cultura e costume cesenati. Era malato gravemente da tempo. Lo studio ‘Fratelli Zangheri’ fu fondato nel 1951, dai fratelli Pio e Gino, fotografi professionisti a Cesena e Milano Marittima. Furono poi affiancati dai rispettivi figli, chi per qualche tempo, chi più a lungo. Gian Luca, figlio di Giampiero che lascia anche la figlia Annamaria, sta adoperandosi per far ritornare alla luce l’archivio e si appresta a dare alle stampe un testo che verrà raccolto nella collana ’Le vite dei cesenati’ sulla dinastia dei fotografi cesenati. In ballo c’è una straordinario patrimonio fotografico che merita di essere valorizzato e condiviso con la città anche attraverso il coinvolgimento degli istituti culturali pubblici.

"Mio padre Giampiero entrò bambino in camera oscura innamorandosene - rievoca il figlio Gianluca -: cominciò a lavorare a fine anni Cinquanta nello studio del nonno in corte Dandini, poi in una filiale a Milano Maritttima, dal ’58 al ’63: i suoi anni d’oro, il tempio estivo della dolce vita in cui immortalò personaggi del jet set. Poi lavorò in Germania alcuni anni, affinando e ampliando le sue conoscenze, e al ritorno coadiuvò il padre nello studio in piazza Fabbri fino alla morte di lui nel 1976. Ne rilevò anche l’incarico di fotografo ufficiale del ’Cesena Calcio’, lavorò per molti committenti pubblici e privati, fu al timone della litografia Litoset e animatore della rivista ’L’uovo’, che veniva distribuita allo stadio". Collaborò anche con il Resto del Carlino e poi cedette il suo archivio sportivo al fotografo allora in capo alla redazione cesenate, Vittorio Calbucci.

Soprattutto Giampiero Zangheri fotografò, instancabilmente, sminuzzando le mille pieghe di Cesena e dei cesenati, e così si rimpinguò l’archivio di famiglia che sopravvisse allo studio fotografico chiuso a fine anni ’90, e va preservato col concorso di tutti dal languire nella chiusa privatezza.

Andrea Alessandrini