"Non c’è solo l’aborto, troviamo altre strade"

Il prof. Mario Alai, animatore del Centro aiuto alla vita, spiega l’impegno dinanzi al dramma della maternità indesiderata

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dI Elide Giordani

Un appello e un corso formativo costituiscono oggi un altro passo avanti nella vita quarantennale del Centro aiuto alla vita di Cesena fondato nel 1978, braccio operativo del Movimento per la Vita avviato dal docente universitario Mario Alai e dal sacerdote don Adolfo Giorgini. L’appello riguarda la ricerca di risorse e nuovi volontari, il corso, a cavallo tra marzo e aprile, intende "arricchire sul piano culturale chiunque abbia a cuore la vita".

Professor Alai, a quasi 45 anni dalla sua fondazione, come procede l’attività del Centro di Aiuto alla vita nato fondamentalmente per arginare il ricorso all’interruzione volontaria della gravidanza?

"Questo obiettivo va di pari passo con la volontà di aiutare chi si trova all’angolo e veda l’interruzione della gravidanza l’unica via d’uscita. Il nostro impegno è quello di realizzare condizioni sociali, di prossimità e di solidarietà perché il ricorso all’aborto non sia l’unica soluzione. Resta, ovviamente, il contrasto alla mentalità che vede nell’aborto procurato un’azione utile e giusta".

Chi sono le donne che si sentono all’angolo per una maternità indesiderata?

"Sono tante, a partire da quelle che hanno problemi economici, di solitudine, di contesto culturale, di età. C’è chi cerca altre strade all’interruzione della gravidanza, e non le trova".

Il problema resta attuale anche oggi che c’è un ricorso consapevole alla contraccezione?

"L’immigrazione ha creato situazioni di disagio economico, sociale e culturale che non sempre mettono le donne nella condizione di scegliere. Sono situazioni che spesso sfociano nella difficoltà a gestire maternità indesiderate e questo rende più accentuato il ricorso all’interruzione della gravidanza".

Ci sono donne che hanno denunciato, con fastidio, tentativi di dissuasione quando già avevano deciso per l’interruzione.

"C’è al Bufalini un punto di riferimento del Centro… L’idea che sta alla base è che la vita è un valore e nel momento in cui viene soppressa si sopprime il diritto del nascituro alla vita. Contemporaneamente si rinuncia ad un arricchimento della vita della donna che perde in tal modo la potenzialità di diventare madre. Parlare con lei significa portarla a considerare se ha ben valutato la propria intenzione. Chi opera per il Centro è consapevole del fatto che un’interruzione di gravidanza parte sempre da una valutazione non corretta".

La secolarizzazione progressiva ha fiaccato lo spirito dei Centri di Aiuto alla Vita?

"L’impressione è che questo non sia successo. Ma occorre evidenziare che la percezione del valore della vita non è un fatto di esclusiva matrice religiosa. E’ un fatto umano, che trova più sensibile chi parte da un impegno cattolico. Peraltro anche chi si allontana dalla pratica religiosa continua ad avere valori etici".

Che scopo ha il corso che il Centro, con docenti di livello, sta tenendo in questo periodo sull’ascolto e la presa in cura? "Quello di cercare volontari e di orientarli sulle problematiche ed anche, eventualmente, di trovare nuove risorse economiche".

Quanti volontari ha oggi il centro?

"Una decina. Ma c’è anche chi aiuta concretamente i genitori impegnati nel lavoro a gestire i figli piccoli".