"Sono a Cesena per la prima volta e spero di portare un punto di vista che stimoli riflessioni che vadano oltre il singolo vissuto. Oggi siamo tutti in connessione globale e digitale, le nostre azioni hanno conseguenze in tutto il mondo". Ed è da ogni singola sede di testimonianza che Pegah Moshir Pour - giovane attivista per i diritti civili in Iran, rappresentante di punta del movimento "Donne, vita, libertà", bandiera della rivoluzione iraniana di questi ultimi mesi - comunica la passione per la coraggiosa battaglia che ha sollevato tanta partecipazione nel mondo. Pegah Moshir Pour, italiana di origine iraniana, sarà questa mattina dalle 9,30 nell’aula magna di Psicologia (piazzale Aldo Moro) per l’iniziativa "Salute mentale e libertà" organizzata dal dottor Michele Sanza direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Forlì-Cesena. Incontrerà cittadini e studenti e sarà disponibile per le loro domande.
Pegah, dopo la sua partecipazione all’ultimo festival di Sanremo la sua visibilità è decuplicata, cosa la spinge verso un impegno che comporta anche rischi personali?
"Non è stato facile imboccare questa strada. Prima di tutto mi sono consultata con i miei familiari, poiché metto a rischio anche loro. Mi hanno detto che bisogna fare la cosa giusta e non restare indifferenti".
Ci vuole coraggio, però.
"Il coraggio me lo insegnano le donne e gli uomini iraniani. Ho cominciato la mia testimonianza cercando si correggere l’errore in cui cadono spesso i media italiani in merito alle proteste in atto oggi in Iran".
Ossia?
"Si concentrano sull’obbligatorietà del velo, ma per i ragazzi e le ragazze la libertà di indossare o meno il velo è solo una delle tante cose che chiedono, è un simbolo delle altre libertà per cui protestano".
Cosa farebbe se in questo momento fosse in Iran?
"Me lo chiedo spesso. Avrei potuto essere una delle tante ragazze imprigionate, picchiate, uccise. Oppure avrei potuto continuare a disobbedire e manifestare per strada così come mi porta l’educazione al libero pensiero che mi hanno impartito i miei genitori".
La battaglia che i giovani hanno avviato in Iran fa molte vittime. Sarà possibile vincere?
"I giovani hanno dato vita a questa incredibile rivoluzione spronando anche gli adulti che hanno partecipato alla rivoluzione del 1979, tutti sono consapevoli delle difficoltà che incontrano oggi a causa del regime e non hanno più paura. C’è un’alta consapevolezza dei diritti, si vorrebbe arrivare ad un referendum per avere una repubblica democratica e la secolarizzazione della società. La battaglia sarà lunga, ma non cederanno". Perché i regimi, soprattutto quelli di stampo islamista, ce l’hanno con le donne?
"E’ tipico dei regimi dittatoriali, come il fascismo, di cui l’Italia si è liberata. Il regime iraniano peraltro non segue l’islam, per il quale il velo non è obbligatorio. Khomeini nel ’79 impose il velo perché voleva sottomettere le donne, prime fra gli altri a chiedere la repubblica, donne consapevoli e in prima linea, com’era all’epoca dello scià che stava portando l’Iran verso una forte occidentalizzazione, cosa che ha inasprito il clero sciita. Oggi ci sono anche donne praticanti, che indossano il velo, incarcerate perché chiedono la fine di un regime che non rispecchia più la società".
Le manca il suo Paese?
"Manca, sì, perché è il primo posto che ho chiamato casa. In Italia non ho vicini gli affetti della grande famiglia di cui faccio parte. Ma ho qui molte amicizie che in qualche modo colmano quel vuoto".
Quali relazione ha con gli iraniani in Italia?
"Ce ne sono tanti e finalmente si parlano tra loro. Il terrore ispirato dal regime aveva fatto sì che non si fidassero l’uno dell’altro, temendo che tra loro ci fossero spie. Con questa rivoluzione ci siamo tutti esposti ed è bello lo scambio che si è instaurato".