"Pinacoteca? Ha senso se è un museo aperto"

Massimo Pulini, storico dell’arte ed ex assessore a Rimini, illustra la sua idea per la struttura in via di realizzazione all’ex Oir

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di Elide Giordani

Un progetto di grande respiro culturale e di elevato impegno economico. Così si prospetta la nuova Pinacoteca del palazzo ex Oir, che la Fondazione Carisp ha donato al Comune. Un’opera che va, dunque, pensata e realizzata senza ignorare il contributo di qualità di chi in città si occupa di arte e progetti culturali. Tra questi un ruolo di primo piano lo riveste indubbiamente Massimo Pulini, pittore, scrittore, critico e storico dell’arte, docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna e, dal 1° marzo, di Mercato dell’Arte alla Sapienza di Roma. In passato assessore alla Cultura del Comune di Rimini.

Massimo Pulini come vedrebbe la realizzazione della nuova pinacoteca?

"Aprire un museo oggi impone interrogativi di non facile soluzione. Il settore sta vivendo una notevole attenzione ma anche un processo di ridefinizione. Le amministrazioni non hanno più la forza di concepire musei che siano solo conservativi".

Quindi, che caratteristiche dovrebbero avere?

"Non tanto quella di reggersi sulle proprie gambe, che sarebbe assai difficile, ma di impegnarsi a contribuire ai bilanci. Più un museo si apre ad altre attività collaterali e convergenti, come conferenze, presentazioni di libri, concerti, più corrisponde ad un’idea attuale del museo, che potrà vivere meglio se non poggia solo sulla conservazione".

In sintesi qual è il concetto di museo moderno?

"La mia parola chiave è ‘racconto’. Un museo nuovo deve sapersi raccontare e cercare narratori, diversificati, dello stesso patrimonio. Ossia non solo esperti d’arte, ma di altre discipline, che sappiano vedere le connessioni che un critico d’arte non vede. Un’opera d’arte deve continuare ad essere viva e relazionante, sennò si rischia che il museo diventi un ospedale, un ricovero di opere che non hanno più casa e memoria".

Ci sarà all’ex Oir lo spazio sufficiente per le attività che lei definisce convergenti?

"Non ho avuto occasioni recenti di studiare la situazione ma già all’epoca dell’assessorato alla cultura guidato da Daniele Gualdi, in occasione delle mostre che avevo organizzato sul tema dell’arte antica, si parlò di un tale orientamento. Si poneva anche allora il problema dell’impossibilità di ospitare in un unico spazio l’intero patrimonio comunale, a cui si aggiungerà la collezione congiunta di Fondazione e Crédit Agricole".

Come risolvere il problema della capienza?

"Si potrebbe ospitare nel nuovo museo tutto il nucleo, che è il più importante, che arriva alla fine del ‘700. Se le opere tra ‘800 e ‘900 faticano ad essere comprese si potrebbe pensare, per quelle, ad altri spazi. Sarebbe come assecondare una cesura storica naturale poiché il ‘700 è davvero artisticamente una stagione chiusa a cui ne segue un’altra".

E’ ipotizzabile un’alternanza di esposizioni?

"Avvicendare tavole del ‘400 rischia di comprometterne l’integrità. Se le due collezioni, quella della pinacoteca comunale e quella della banca, devono incontrarsi, è giusto che lo facciano seguendo un’armonia cronologica".

Il patrimonio della Banca e della Fondazione è stimato in 10 milioni di euro. E quello comunale?

"Le opere della banca sono state acquisite sul mercato e, dunque, la loro valutazione è più facile, mentre il valore della pinacoteca comunale sta anche nella testimonianza cittadina, che è insostituibile. Ha un valore difficilmente stimabile poiché comprende anche un grande peso storico essendo ciò che rimane dopo la grande dispersione del periodo napoleonico".