Quando ‘La Debacle’ si portò jella da sola

L’opera debuttò il 9 febbraio 1911 a teatro, salutata da continue scosse di terremoto. Vinse la scaramanzia: non andò più in scena

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di Gabriele Papi

Sull’antico filo dell’ironia romagnola doc (non quella degli attuali ‘social’ pappagalleschi). State a sentire l’appello alle elezioni, nella Cesena del passato, di un temibile candidato. "Io non ho bisogno di un lungo programma. Eleggendomi a deputato avrete due sicuri vantaggi: quello di liberarmi della mia incomoda presenza. E quello di mandarmi a scuotere l’apatia dell’Assemblea Nazionale (Il Parlamento). La mia eloquenza scioglierà le più serie questioni. Firmato: il Terremoto".

L’ironico appello apparve sulle colonne del periodico radicale cesenate ‘Il Risveglio’ il 15 novembre 1870, nei giorni della campagna elettorale in cui l’opinione pubblica cesenate e romagnola era inquieta per continue scosse telluriche che per fortuna non fecero seri danni ma apportarono giusta apprensione. Furono ancora scosse di terremoto a segnare, ingiustamente, il destino di un’opera lirica di marca cesenate che la nostra città, più di un secolo fa, attendeva festosa: ‘La debacle’, prima nazionale, musica del valente musicista cesenate Alessandro Masacci, scenografo il concittadino pittore Bagioli.

In cartellone al teatro Comunale dal 2 febbraio 1911, dieci recite. Debutto lusinghiero, poi stop. E quell’opera non fu più replicata. Scampoli di memoria tramandano che in quelle sere tirò il terremoto: e la fabbrica teatrale, tutta in legno, armonica ed elastica ballava di brutto. Ragion per cui gli appassionati di lirica scapparono: ‘Ciò, ciapèm via. Què a fasèm la fìn de sorg (prendiamo via in fretta, o faremo la fine del topo)’.

Fu un debutto sfortunato, e anche allora qualcuno rilevò che il titolo La debacle (la disfatta), anche se si rifaceva a un romanzo di Emile Zola, non era certo di buon auspicio: soprattutto in un mondo scaramantico com’è quello del teatro.

Tornando a ritroso nel tempo, ma in anni a noi più vicini, ecco un’altra storiella vera e un po’ surreale. Recenti anni ‘70: dei turisti si fermano per ammirare la bella facciata del nostro Bonci e chiedono a un vigile lì davanti: ‘questo teatro è acustico?’. Risposta compunta del vigile: ’no, è comunale’. Irresistibile esempio di ironia involontaria.

Sempre in quegli anni uno degli spettacoli più attesi era quello dell’indimenticabile Paolo Poli, con le sue scorrerie teatrali pregne di irriverenza e sapienza scenica, le sue incursioni imprevedibili in platea (‘vieni, pesciolino mio diletto vieni…’ dedicato ai severi membri della commissione Teatrale), i suoi bis a base di sonetti lussuriosi di Pietro Aretino e delle canzoni più birichine del ‘tabarin’. Di quei motivetti ci è rimasto stampato nella mente un ritornello anti-depressione. Recitava: ’Il vuoto fa paura il gas ha un brutto odore la corda è troppo dura il treno fa rumore il rasoio fa male il veleno dà i crampi la pistola è illegale tanto vale che campi’. E giù un sipario di risate. Anche i sorrisi giovano alla difesa immunitaria della salute: nostra e anche quella degli altri.