di Gabriele Papi Elogio delle lenticchie, gustoso accompagno del cotechino negli imminenti pranzi delle feste di Natale. Occasione per far pace tra i ghiottoni delle carni e vegetariani e vegani che detestano le carni: le lenticchie calde sono buone anche da sole, oltre alla consuetudine che mangiare lenticchie, in particolare a Capodanno, sia mangiare propiziatorio alla prosperità poichè questi legumi saporosi sono simili a tante monetine. Lenticchie che, come state per leggere, vengono anche dalle nostra colline. Ma andiamo con ordine. Davvero antico è il pedigree delle lenticchie. Basti pensare al famoso, e biblico, piatto di lenticchie diventato un modo di dire proverbiale. Accadde dunque (Libro della Genesi, 25, versi 29-34) che l’agricoltore Esaù tornò a casa stracco del lavoro e vedendo in tavola la ghiotta zuppa di lenticchie rosse che il fratello Giacobbe aveva preparato per sé, per golosità e leggerezza cedette al fratello la propria primogenitura pur di mangiare quella ghiotta vivanda. Oggi, probabilmente, un Esaù moderno e “sburgìto” (che nel nostro dialetto significa maturo, smaliziato) cederebbe al partito di Giacobbe la primogenitura territoriale: ma in cambio, perlomeno, d’ un lauto seggio: da consigliere regionale in su. Meglio tornare alle millenarie lenticchie. Un altro passo della Bibbia (Libro di Ezechiele, 4, 9) ci dice che gli antichi facevano il pane anche con le lenticchie o altri legumi: a seconda di quel che avevano. Le moderne lenticchie, che hanno il pregio di essere economiche, sono state cantate in gloria dall’Artusi in due classiche ricette del suo trattato: la n.414 e 415. Oggi si trovano già pronte solo da scaldare: ma se preparate in casa, faccenda laboriosa, sono un altro andare. E qui capita non a fagiolo ma a lenticchia, la citazione d’una delle non molte aziende cesenati coltivatrici: i Fratelli Foschi, agricoltori da quattro generazioni, che producono sulle colline di Romagna legumi , cereali, farine d’autore; tutta roba biologica. Oltre alle lenticchie, da Pieve di Rivoschio, i loro ’cugini’ ceci che stanno vivendo anch’essi un revival: non solo come lovarie, ma piatti della tradizione povera ma buona. A proposito di ceci: i meno giovani ricorderanno il simpatico ambulante “Cecino caldo”, cosiddetto perché nel suo biroccino aveva un fornellino con padellino per ceci sempre caldi. Amarcord: una sera d’inverno d’oltre mezzo secolo fa “Cecino caldo” era di stanza come al solito di fronte al cinema Eliseo in viale Carducci, con il suo carretto di lovarie. Li davanti al Caffè Barriera (allora detto “la Mimì”) erano di stanza, in inverno, i giovani goliardi che quella fatidica sera gli diedero la voce: "Cecino, vieni a bere un vov caldo". Mentre Cecino sorbiva il liquore ricostituente, i soliti ignoti nascosero il carretto nella parallela via Madonna delle Rose. All’uscita Cecino si disperò: "I m’à ciavè e carèt" (m’hanno rubato il carretto) che dopo un po’ di penare gli fu fatto ritrovare, tra le sue sacrosante contumelie. Una burla a lieto fine: una delle piccole storie d’una Cesena che sapeva sorridere. Più di quanto succeda oggi: e la nostra non è solo nostalgia canaglia.