Quel goliarda irriverente di Mario Guidazzi

A un mese dalla morte dell’ex vicesindaco repubblicano, un ritratto inedito e dentro al quotidiano sotto i portici del centro di Cesena

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[Segue dalla Prima]

Con immediata controreplica di Guidazzi e, in caso di contraddittorio, una delle sue pittoresche litanie di imprecazioni da vecchio romagnolo. Non per offendere : un “accidenti” per un romagnolo vale un abbraccio molto forte (o almeno, un tempo, era così). Caratteristica di Mario era l’etica della cittadinanza, il piacere del confronto diretto con i cittadini che nessun cicaleccio petulante sui “social” potrà mai surrogare. Tra i vari necrologi dedicati a Mario molti cesenati sono rimasti colpiti dal sobrio e affettuoso saluto del già Circolo Goliardico cesenate, di cui Mario nella sua giovinezza fu uno degli ultimi interpreti. “Ciao, non addio” e l’antico saluto laico, in latino: “lieve ti sia la terra”. Goliardi: ne discutemmo spesso con Mario. Oggi il termine ”goliardico” è spesso usato in modo grossolano. Ad esempio: fare il saluto romano, intonare canti fascisti, oppure inneggiare alle Brigate Rosse non è una “goliardata” e neanche una “pataccata”; sono colpi di imbecillità.

Ben altra e antica è la storia dei goliardi, i nipoti dei chierici vaganti, già libertari, golosi di vita: possiamo ritrovarne l’eco nell’incanto musicale dei “Carmina Burana”, il Luna Park del nostro Medioevo prossimo venturo. A proposito, invece, di autentiche goliardate, sentite cosa ci raccontò Mario. Correvano i primi anni 60. Era giunta notizia che un carico di “bionde” (sigarette di contrabbando) era stato sequestrato presso un incolpevole convento di frati nel Sud Italia. Figuriamoci i goliardi cesenati, con DNA anticlericale. Quell’estate organizzarono sulla spiaggia di Cesenatico una buffa processione tra Bagno Milano e il molo: travestiti da frati scalzi, con gerle di sigarette e cartelli con scritto : “ora et Marlbora”. Stupore e gran risate: ma la foto di un turista finì sulle pagine di ABC, rotocalco nazionale di allora. Ne nacque un putiferio, con tanto di accuse bacchettone di vilipendio della religione. Scampoli di giovinezze lontane, colpi di fantasie irriverenti: se ci pensate, sono proprio quei materiali del quotidiano adoperati da Fellini e da Tonino Guerra per il loro capolavoro, affresco cinematografico dedicato al borgo, alle radici di ognuno di noi: non a caso il film “Amarcord” vinse l’Oscar nel 1974. E adesso che non ci sei più, caro Mario, ci torna spesso alla mente Epicuro, filosofo greco e maestro di laicità che ti era caro: quando parla della morte, destino che attende tutti noi. “La morte? Quando ci siamo noi non c’è lei, e quando c’è lei noi non ci siamo più”. (Epicuro, lettera a Meneceo).

Gabriele Papi