CRISTINA GENNARI
Cronaca

"Racconto la storia di mio padre partigiano"

Domani alle 21 l’attore veneto Andrea Pennacchi porterà sul palco di Villa Torlonia lo spettacolo sulla staoria del papà patriota e deportato

"Racconto la storia di mio padre partigiano"
"Racconto la storia di mio padre partigiano"

di Cristina Gennari

Una storia di resistenza partigiana, tra ricordi e racconti, per riappropriarsi della memoria e fare i conti con le proprie origini. Domani sera alle 21 Andrea Pennacchi porta sul palco di Villa Torlonia a San Mauro Pascoli lo spettacolo ’Mio padre. Appunti sulla Guerra Civile’ per l’ultimo appuntamento della stagione. L’attore veneto ricostruisce, con ironia e leggerezza, le vicende del padre Valerio tra operazioni di sabotaggio e prigionia.

Pennacchi, chi era suo padre?

"Era un partigiano delle Squadre di Azione Patriottica. A 17 anni fu catturato perché un compagno, sotto tortura, fece la spia. Insieme alla sua squadra venne deportato nel campo di concentramento di Ebensee, in cui trascorse un anno terribile arrivando a un passo dalla morte. Poi, fu salvato dall’esercito americano".

Perchè ha deciso di mettere in scena la sua storia?

"È un tentativo di riappropriazione della memoria. Quando mio padre era vivo, davo per scontato la sua storia. Ero orgoglioso, ma non sapevo molto, anche perchè lui non parlava mai del periodo nel campo di concentramento. Quando è mancato, ho quindi cercato di ricostruire le vicende, che erano importanti non solo per me, ma perchè raccontano una parte di storia dell’Italia intera".

Come ha ricostruito le vicende?

"Grazie a mio zio Vladimiro, compagno di battaglia di mio padre. Oltre alle testimonianze, ho poi trovato una monografia di un ricercatore austriaco proprio sul campo di Ebensee".

Com’è stato crescere figlio di un partigiano?

"Mio padre è sempre stato per me un riferimento. Era una persona coraggiosa, ma non vendicativa, anche nei confronti dei tedeschi. Quando ero ragazzo era un’eredità pesante, perchè qualsiasi cosa facessi non era comparabile all’aver affrontato i nazifascisti. Pian piano però ho fatto mio questo carico, portando avanti i suoi slanci e ideali".

Consapevolezza e memoria storica stanno facendo passi avanti?

"La mia sensazione è che si stia tornando indietro. Molti dei problemi attuali derivano dal fatto che non si è mai discusso veramente di ciò che è successo. C’è stato un momento di pacificazione necessaria, a cui però non è seguita una riflessione nazionale".

Da qui il levarsi di nuove forme di revisionismo?

"La storia è revisionista per natura. Per molto tempo c’è stato il mito granitico dei partigiani, sempre buoni e giusti, che ora si è incrinato perchè la storia ne ha indagato anche i lati oscuri. Secondo me, ciò non inficia il valore delle persone che hanno aderito alla lotta partigiana, spinti dall’idea di una civiltà migliore. Il rischio, tuttavia, è che il revisionismo passi da un estremo all’altro: dal considerare i partigiani salvatori dell’Italia al definirli assassini. Occorre approfondire luci e ombre, chiarendo ovviamente la natura antifascista della Costituzione".

Questa settimana si è celebrato l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Perchè è una ricorrenza ancora divisiva?

"Come diceva Umberto Eco, il fascismo si ripresenta nel tempo sotto forme diverse. Bisogna dunque riprendere battaglia per fermarlo prima che diventi troppo forte".

E il suo celebre personaggio, il Pojana, come avrebbe vissuto il 25 aprile?

"Dato che è un indipendentista chiuso nel suo capannone, molti lo considerano fascista. Eppure, in Veneto c’è una forte tradizione di antifascismo che non significa comunismo, anzi. Pojana, pur malvolentieri e bestemmiando, non può che apprezzare il 25 aprile".