Scarpe, guerra e costi bloccano la ripresa

Il distretto calzaturiero sammaurese resta sotto i livelli pre pandemia soprattutto a causa del crollo del vendite sul mercato russo

Migration

di Maddalena De Franchis

Il 2020 si conferma l’annus horribilis del calzaturiero italiano: nei lunghi mesi del lockdown e degli aperitivi in diretta streaming, il settore è precipitato a un pauroso -22% rispetto al 2019. Dopo una débacle così rovinosa - parzialmente ridimensionata solo dalle vendite di pantofole e scarpe sportive - nel 2021 il giro d’affari è cresciuto del 21%, ma resta ancora inferiore a quello registrato nel 2019 (-6%). È quanto emerge dal report appena pubblicato dall’area studi di Mediobanca, che ha preso in considerazione 170 aziende del calzaturiero made in Italy. Il ritorno ai livelli pre-crisi, atteso nel 2022, è ora compromesso dal conflitto russo-ucraino, viste le forti ricadute sia sui prezzi di energia e materie prime, sia sui flussi commerciali verso Russia e Ucraina. A proposito di flussi commerciali verso l’estero, anche il rapporto sull’export dei distretti industriali emiliano-romagnoli nel 2021, rilasciato nei giorni scorsi dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo, evidenzia come il polo di San Mauro Pascoli sia rimasto abbondantemente al di sotto dei livelli del 2019 (-25,9%), soprattutto a causa del peggioramento delle vendite sul mercato russo.

"Oltre alla guerra e al caro carburanti, ciò che realmente minaccia la sopravvivenza del distretto sammaurese è la mancanza di valorizzazione da parte dei grandi marchi internazionali del lusso": esordisce Roberta Alessandri, titolare di Smart Leather (azienda specializzata in orlatura) e ideatrice del brand di borse e accessori Tomassini bags. "Negli ultimi tempi, anche i colossi si lasciano guidare dalla ricerca del prezzo più basso possibile, a scapito di qualità, etica del lavoro e sostenibilità. Qui le aziende hanno una cultura, una responsabilità sociale e un rispetto per le maestranze che non si trovano altrove: se si affidano commesse senza verificare tali requisiti, si fa un danno all’intero settore. Fare impresa non è solo business, è custodire un patrimonio e trasmetterlo alle generazioni future".

Al grido d’allarme di Alessandri fa eco quello di Gessica Lombardi, che ha ereditato dai genitori la ditta Bianco accessori, specializzata in decorazioni per calzature e pelletteria. L’azienda lavora per autentici mostri sacri del lusso, tra cui Valentino, Yves Saint Laurent, Prada e Ferragamo. "Per una scarpa, la manodopera è senz’altro la componente di costo più rilevante: ci vengono continuamente richieste certificazioni di etica e sostenibilità, ma tanti clienti non sono disposti a riconoscere che il mantenimento degli standard dev’essere remunerato. La qualità si paga". Sul futuro, Lombardi è pessimista. "La guerra sta spostando tutti gli equilibri: a quest’ora dovevamo già essere al lavoro sulla prossima stagione, invece siamo ancora in attesa di capire quale strada intraprendere. Davanti al Covid siamo stati più reattivi, ora abbiamo perso le energie. Eppure, dovremmo prendere anche questa crisi come un’opportunità per rigenerarci".

Decisamente fuori dal coro la voce di Perla Alessandri, titolare di Greymer Srl, azienda di calzature fondata dal padre Luciano nel 1980, e ideatrice dei marchi Alevì e 3Juin, quest’ultimo lanciato in piena pandemia. "Con il nostro fatturato 2021 abbiamo eguagliato il 2019, mentre per il 2022 prevediamo di chiudere con un +2 milioni di euro. Siamo soddisfatte", dichiara. "Con la riapertura delle discoteche e il ritorno di eventi dal vivo e feste, le scarpe eleganti e i tacchi sono sempre più richiesti. Dopo due anni di buio, c’è voglia di cose belle".