Cesena, liste d’attesa per gli scout. Abbondano lupetti e coccinelle

Lughi (Agesci): "Tante richieste, ma i capi sono pochi"

AMICIZIA Un incontro internazionale di scout e un campo (repertorio)

AMICIZIA Un incontro internazionale di scout e un campo (repertorio)

Cesena, 13 aprile 2018 - Liste d’attesa agli Scout dell’Agesci, storica realtà cittadina con radicata presenza da vari decenni a cui è affiliato anche il Masci, movimento adulti scout cattolici italiani fondato a Cesena 64 anni fa e che conta oggi una cinquantina di scout coi capelli bianchi. Tante famiglie entusiaste dell’impostazione educativa dello scoutismo, che si prefigge di avvicinare anche anche a due attitudini per così dire oggi ‘anticicliche’ come la sobrietà e la capacità di arrangiarsi facendo fronte col sorriso a imprevisti e problemi - si prenotano dai responsabili dei gruppi per inserire i figli quando avranno età da lupetto e coccinella (8 anni, quella del primo ingresso nei gruppi), ma l’offerta – ecco il tasto dolente – purtroppo non riesce a tenere il passo.

Giovanni Lughi, responsabile dei gruppi scout cesenati che fanno capo all’Agesci: quanti sono gli iscritti ai movimenti scout cittadini?

«Oltre 1500, suddivisi in 12 gruppi».

Per definirli ancora si ricorre alla tradizionale numerazione, dal Cesena 1 in su?

«La numerazione di un tempo si è modificata in seguito agli accorpamenti fra gruppi, ad esempio quello fra gli scout del Duomo, che erano il Cesena 2, e quelli di San Domenico, il Cesena 5, che sono divenuti il Cesena 12».

Stanno nascendo nuovi gruppi?

«L’ultimo ad essere stato fondato è il gruppo dell’Oltresavio, sorto a Gualdo».

Ci sono molto domande per entrare negli scout?

«Sì, superiori alla possibilità di accontentarle. Ad esempio, ci è stata fata richiesta di fondare il gruppo anche a Verghereto e in luoghi lontani, ma non siamo in grado di trovare capi che seguano nuovi gruppi, quindi i bambini di Verghereto come posto più vicino debbono recarsi a Gualdo».

Ma è vero che esistono anche vere e proprie liste di attesa?

«Sì, in molti gruppi cittadini. C’è stato chi addirittura ha iscritto i propri figlioletti appena nati, otto anni in anticipo rispetto alla data dell’agognato ingresso».

Quando si diventa capo, nel movimento Scout?

«Al termine di un percorso e non prima dei 21 anni».

In quell’età ci sono giovani che abbandonano il movimento e la carenza di ‘manovalanza’ direttiva dipende anche dall’uscita dai gruppi di forze fresche?

«L’abbandono esiste, ed è un fenomeno complesso con molte cause. Si lega agli stili di vita, alle scelte di lavoro e di vita e ad altre variabili. Peraltro riguarda tutti gli ambienti religiosi, parrocchie e movimenti. Di certo con le attuali forze non siamo in grado di ampliare la rosa dei gruppi, anche se siamo sempre molto rappresentativi con i nostri 1500 iscritti».

Sempre più gli scout sono impegnati in città in iniziative di solidarietà a favore dei bisognosi. Ciò avviene solo in ambiti religiosi?

«Principalmente in quelli, come ad esempio il servizio per la mensa Caritas, per il campo Emmaus e la San Vincenzo che sostiene gli indigenti. Abbiamo dato, tuttavia, il nostro contributo anche per un progetto più allargato col patrocinio del Comune di avvicinamento dei senza tetto. È d’altronde nello specifico del percorso dello scoutismo essere educati al servizio al volontariato, specie quando si è ancora rover. Quando si diventa capi si finisce per essere fagocitati dagli impegni di guidare il gruppo, ma chi è stato scout anche quando esce dai nostri gruppi conserva la propensione a dare una mano a chi ha bisogno e spesso lo ritroviamo protagonista in iniziative cittadine di volontariato».