Cesena, la soletta al carbonio è nata qui. "Quale doping, questo è futuro"

Parlano gli ideatori della prima intersuola per maratoneti, un prodotto simile a quello poi criticato dopo la vittoria di Eliud Kipchoge e Brigid Kosgei

La soletta di carbonio

La soletta di carbonio

Gambettola (Forlì-Cesena), 24 ottobre 2019 - Hanno monopolizzato le cron ache delle ultime settimane, avendo sfondato, con le loro prestazioni, limiti che solo fino a dieci anni fa si ritenevano impensabili. I maratoneti Eliud Kipchoge e Brigid Kosgei, rispettivamente a Vienna e a Chicago, hanno tagliato il traguardo della 42 km in tempi paurosi. E hanno innescato, immediatamente, un’accesa polemica su un particolare tipo di «doping». No, non si parla di medicinali proibiti o di oscuri beveroni, ma di uno stratagemma nascosto nelle loro scarpe da running: una lamina in fibra di carbonio inserita nell’intersuola, che accumula e rilascia energia a ogni passo.

Una sorta di molla, insomma, che garantisce la spinta in avanti, facendo risparmiare energia. È un prototipo brevettato dalla Nike: eppure, non tutti sanno che, a Gambettola, già nel 2010 due giovani ingegneri informatici avevano intuito che le normali scarpe sportive peggiorano sensibilmente le performance, privilegiando comodità e ammortizzazione a scapito della reattività. È stato così che Luca Domeniconi, di Santarcangelo, e Denis Brighi, di Cesena, hanno poi ideato, nel 2016, la startup Project Ares: realizzano una soletta in fibra di carbonio e kevlar in grado di immagazzinare e riutilizzare l’energia cinetica che, altrimenti, andrebbe persa. Ciò permetterebbe agli atleti di correre più velocemente e di saltare più in alto.

Dom eniconi, che cosa pensa del dibattito attualmente in corso sulle «scarpe dei record», sulle quali sembra stia indagando anche la Iaaf (Federazione internazionale di atletica leggera)? «Ritengo che il progresso scientifico non possa essere arginato. In tutti gli sport, è proprio lo studio avanzato sui materiali, sulla preparazione, su alimentazione e integrazione e persino sulla concentrazione degli atleti che consente loro di migliorare a tal punto da polverizzare i record fissati in precedenza».

Ma davvero una scarpa può influire così tanto su una prestazione? «Certo. Di solito si dice che incida per il 4%: secondo me, invece, incide per ben oltre il 10%. Non è necessario soltanto che l’atleta la senta «cucita addosso»: al giorno d’oggi, l’efficacia di una scarpa risiede nella capacità di aumentare la spinta, risparmiando al contempo l’energia immessa nella falcata. Attenzione, non inseriamo un «motorino» nella scarpa: semplicemente, sfruttiamo al meglio l’energia già fornita dal corpo».

Lei racconta spesso di essere un cestista che ha inseguito per anni il sogno di saltare più in alto. C’è riuscito? «Sì, ho testato per primo su me stesso - e su tanti amici cestisti - le nostre soluzioni, prima di lanciarle sul mercato. E numerosi campioni di salto in alto e salto in lungo, celebri in Italia e all’estero, hanno adottato da tempo le nostre solette. Poi, una volta che abbiamo cominciato a venderle online, abbiamo ricevuto un’ondata di richieste dai runner, a tal punto che abbiamo dovuto inserire alcune piccole modifiche per andare incontro ai loro bisogni. Un successo che, ancora oggi, ci lascia a bocca aperta».