"Una lunga vita da progettista"

La figlia ricorda il padre ingegner Ferdinando Casali a 20 anni dalla morte. Disegnò l’ospedale Bufalini

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di Roberta Casali

Sembra ieri, ma molto tempo è passato ed ha lenìto appena il dolore. La ferita della mancanza ancora brucia, anche se tutto sembra così lontano.... Venti anni fa, martedì 8 ottobre 2002, alle ore 13.30, moriva mio padre Ferdinando. Figlio di emigranti romagnoli che, verso la fine dell’800, erano andati, giovanissimi, in Alsazia Lorena a lavorare, dopo la morte prematura ed improvvisa del padre che lo lasciò orfano a soli nove anni, affrontò tempi terribili segnati dal ritorno in Romagna, con il dolore e la miseria, e poi dalla guerra che gli rubò la giovane vita del fratello Aldo, tanto amato. Con molti sacrifici e l’aiuto di mia mamma Saura, con la quale si era fidanzato, riuscì a laurearsi ed iniziò a lavorare. Era noto a Cesena, e non solo, come l’ing. Casali.

Classe 1924, ebbe molteplici esperienze che ne hanno fatto un caso più unico che raro nel panorama della sua professione e nel nuovo mondo del lavoro, sempre più specialistico. Esperto progettista di ospedali (fu chiamato a terminare l’appena iniziato ospedale Bufalini nel 1958), case private, banche, mangimifici e capannoni per allevamenti e poi chiese, queste ultime la sua prima vocazione ed il destino per cui ripeteva spesso: "Io sono venuto al mondo per fare la mia chiesa".

E si riferiva alla chiesa del Sacro Cuore di Martorano di Cesena, come ha voluto indicare nella lapide cimiteriale insieme alla sola data di nascita. Una chiesa decentrata in un piccolo paese della campagna romagnola, progettata nel 1951, come sua tesi di laurea, prima vera chiesa al mondo (l’Europa era il mondo!) c.d. a vela, nella appena cominciata avventura della Architettura Moderna, in specie organica. Questa scelta è stata lo specchio della sua vita, vissuta all’insegna della riservatezza, di stare sempre un passo indietro rispetto alla notorietà e alla compromissione politica per ottenere lavoro e successo, un abitare dall’inizio e fino alla fine “la soglia”. Solo dopo la sua morte e per caso, ho scoperto sue personali doti prestigiose declamate pubblicamente in sala universitaria dal suo amato professor Michelucci.

Temperamento forte ed impulsivo, non ha mai rinnegato le proprie umili origini né le proprie scelte di vita, ha saputo evolvere la sua professionalità e la sua persona raggiungendo la figura di uno studioso di stampo rinascimentale, con visioni lungimiranti e profetiche. Era sufficiente osservare la varietà dei suoi libri, tutti letti e studiati, per giungere alla poliedricità delle sue conoscenze, ingegneristiche ed urbanistiche, architettoniche, storiche, letterarie, economiche, tecniche, scientifiche, religiose e teosofiche.

Un uomo che ha attraversato la propria esistenza con tante sofferenze e tanto coraggio, non esente da difetti e limiti, come tutti, ma staccato dal materiale e sempre sulla via della fraternità e della compassione, a cui era nato nella sua numerosa famiglia di origine. Un uomo, mio padre Ferdinando, che io non esalto per piaggerìa o per farmene un vanto, ma per ricordarlo a chi lo ha conosciuto e amato: un progettista puro, un geniale conoscitore della architettura, della storia e degli animi, un uomo generoso ed un sorridente amante della Vita. Lo ricordo con molto affetto e stima alla sua terra di Romagna, da lui tanto amata.