Uova, radicchio e pancetta per Napoleone

L’imperatore fu servito in città nel 1797. Vini: quando Casali pretendeva di assaggiare l’albana, apostrofando il vignaiolo in dialetto..

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di Gabriele Papi

Quel piatto di uova sode, radicchi di campo e pancetta saltata nell’aceto offerta nientemeno che a Napoleone nel suo rapido blitz a Cesena con sosta a Palazzo Guidi, prima di Porta Santi. Era il 5 febbraio del 1797, i giorni della campagna d’Italia e della nascita della Repubblica Cisalpina. Quella rustica ma goduriosa vivanda campagnola fu offerta, in segno di ospitalità, al generale corso dalle “teste calde” cesenati, i primi libertari contro l’oppressione pontificia. Radicchi, uova e pancetta, tipico della tradizione romagnola.

Oggi un piatto siffatto, magari con lievi varianti, viene spesso definito ‘gourmet’: così può raddoppiare nel prezzo. Non sappiamo i commenti di Napoleone, personaggio che badava al sodo e che non era quel che si dice una buona forchetta. Tuttavia dobbiamo a Napoleone, o ai suoi generali, l’invenzione d’una maggior conservazione dei cibi a risolvere, almeno in parte, un grave problema degli eserciti: il vettovagliamento e la salubrità del rancio.

Cibi avariati o guasti, vettori di gravi infezioni, erano pericolosi per gli eserciti quasi come le pallottole nemiche. Fu quindi indetto un bando con ricco premio: lo vinse Nicolas Appert che realizzò il modo di prolungare la vita al cibo, cuocendolo in ampi contenitori di vetro chiusi ermeticamente, le prime conserve alimentari moderne (metodo che ancora oggi si chiama appertizzazione, ovvero sterilizzazione). Tornando ai nostri radicchi saltati nella pancetta, cogliamo l’occasione per ripresentare ai lettori una delle ‘Tavole Romagnole’ del pittore cesenate, Fortunato Teodorani (1888-1960) che con lungimiranza d’artista raccontò sulla tela semplici mangiari di Romagna oggi diventati cult, quadretti di ‘pìda’, radicchi e uova sode, boccali di vino, eccetera. E qui anche la cronaca si fa golosa.

Tra i committenti di Teodorani – come ha confermato il nipote di Fortunato, l’architetto Giampiero Teodorani –, c’era il famoso ristoratore Aldo Casali, che richiese al pittore anche quadri di tavole imbandite con bottiglie di Sangiovese e Albana etichettate ‘Casali’, oggi in collezioni private. A proposito di albana: dal suo ristorante buffet presso la stazione l’estroso Casali spediva già un secolo fa, molto prima di Amazon, cassette di albana in tutta Italia. Oltre a servirla in tavola. E anche dai suoi fornitori voleva saperla chiar.

State a sentire questo aneddoto rivelatore, dal gustoso libro “Cestini… cestini caldi!!!”, ben scritto dal nipote Franco Casali. Suo nonno aveva un vignaiolo di fiducia a Bertinoro, e poiché la scorta di albana del ristorante stava per terminare, gli diede una voce: ‘Fammi avere ancora di quell’albana, che era buona’. Risposta del vignaiolo: ‘l’ho finita, però ne ho un’altra che l’è coma la su surèla’ (è come la sua sorella)’. Replica secca di Casali: ‘Prima voglio assaggiarla. Anch’io conoscevo due sorelle: una era intàl sòri, l’altra in tè casèn (una nelle suore, l’altra nel bordello)’. Altro che il linguaggio dei moderni sommellier.