GABRIELE PAPI
Cronaca

Vai col liscio. Che magnifica invenzione

Il musicologo Franco Dell’Amore nel suo libro mette in luce le diverse radici del ballo romagnolo.

Il musicologo Franco Dell’Amore nel suo libro mette in luce le diverse radici del ballo romagnolo.

Il musicologo Franco Dell’Amore nel suo libro mette in luce le diverse radici del ballo romagnolo.

Mini storia senza retorica del liscio, la musica da ballo romagnola che mezzo secolo fa ebbe un clamoroso successo balzando dalla nostra riviera alla ribalta nazionale. Liscio, in quanto ballo, che tuttavia non è nato in Romagna né tantomeno nel nostrano mondo contadino. Né bisogna stupirsi: ‘occorre avere rispetto per le tradizioni degli altri senza necessità di accaparrarsi una ingiustificata e esclusiva autenticità, perché la musica è sempre e sarà un misto di inventiva e di plagio. Meglio godersi altri primati’. Lo scrive il musicologo Franco Dell’Amore, nostro concittadino, in un buon libro fresco di stampa: ‘Il Liscio. Memoria e futuro’ (Pazzini Editore) che raccoglie i succosi atti d’un convegno svoltosi a Rimini l’ottobre scorso. Convegno che ha riunito sul tema quasi tutti gli studiosi, ricercatori, testimoni in quanto eredi o familiari dei migliori complessi romagnoli e non: offrendo quindi varie campane interpretative e aprendo finestre su altre realtà consorelle, non solo sul cortile di casa (che è poi il tallone d’Achille del romagnolismo autoreferenziale e ‘sburone’).

E allora, per curiosità, com’è andata storicamente questa storia del ballo liscio? Dell’Amore lo documenta con precisione: negli anni 30-40 del secolo scorso, quando la musica romagnola era ancora nel suo alveo locale e la parola ‘liscio’(come ballo) era straniera, a Milano e non solo si facevano già gare di ballo liscio, ballo ambrosiano, milanese. A Bologna e dintorni si ballava ‘alla Filuzzi’: cioè valzer, polke e mazurke che si ballavano anche in Romagna sin dai tempi di Carlo Brighi, ‘Zaclèn’, già dal primo novecento. Ma bisogna aspettare gli anni 50 del ‘900 per la riscossa romagnola.

Tra i complessi locali emerge Secondo Casadei che, con il suo violino e il suo gruppo affiatato e vestito con sobria eleganza, non solo tiene botta rispetto al boogie wogie, ma rinnova la nostra musica popolare. Compone, tra l’altro, ‘Romagna mia’ che avrà un successo crescente e inaspettato. Riccarda Casadei, figlia di Secondo, ricorda ancora lo stupore divertito del padre nel sentire canticchiare nei borghi la sua canzone già dopo le prime esibizioni: segno che quel motivo indovinato stava entrando, per restarci, nel cuore dei romagnoli (e non solo); come un inno popolare. L’orchestra Casadei generò per clonazione una miriade di altre formazioni musicali. E ‘vai col liscio’: negli anni ’70 si contavano, solo in Romagna, 400 complessi musicali, tra cui spicca un altro Casadei: Raoul e la sua ‘Ca’del Liscio’, la cattedrale delle balere nelle larghe ravennati. La richiesta di serate di liscio era allora la febbre del sabato sera in salsa italiana, con tam tam di televisione e film. Ma il troppo stroppia: inflazione. Soprattutto cambiavano gli scenari sociali, i gusti musicali e comunicativi.

Fin qui la memoria: e il futuro del ‘liscio’? Non è uscito di scena, ma pur tra recenti tentativi di ‘revival’ non è facile tornare a primeggiare. Franco Dell’Amore, da serio ricercatore e critico disinteressato, non si mette a fare il chiromante: piuttosto rilancia la palla agli attuali musicisti suggerendo il metodo della ricerca musicale e dell’orchestrazione come strada maestra. Il tempo non torna più: come dice una bella e sempreverde canzone di Fiorella Mannoia, cantante la cui voce è un’orchestra.