Vetrate del Duomo, una nuova dimensione narrativa

di Marino Mengozzi

Le vetrate della cattedrale di Cesena, appena inaugurate e molto ammirate, introducono una nuova dimensione narrativa mediante la solenne iconicità dei santi venerati in diocesi e contemplati nel calendario liturgico proprio della Chiesa di Cesena-Sarsina; esse sono dunque una testimonianza visibile della sua storia millenaria e proprio a loro è ora affidato un discorso figurato. Chi le osserva viene direttamente interpellato, dapprima a livello di curiosità, poi di conoscenza storico-iconografica, seguita da emozione e coinvolgimento spirituale.

Il racconto agiografico è ostenso dalle vetrate maggiori composte da tre luci ciascuna e altrettanti compartimenti sovrapposti: in alto, a terminazione ogivale, un angelo a volo discendente reca l’insegna dell’effigiato, oppure lo indica o lo venera; al centro, a struttura rettangolare verticale, la figura intera con aureola e titolo identificativo latino, in abiti pontificali (i vescovi Severo, Mauro, Vicinio, Aldebrando), eremitici (Alberico, Rocco, Giovanni Bono, Carlo Guidi) e monastici (Agnese, Giovanna); in basso, di forma quadrata, squarci naturalistici con fiori, frutti e sorgenti, con l’indicazione dell’offerente. L’eleganza ieratica dell’iconografia dei santi e dei beati schierati a mo’ di confessori e baluardo della fede cristiana, veicolata dal tratto del disegno e dai colori marcati con misura, declina gli attributi simbolici trasmessi dalla tradizione storica e figurata: san Vicinio sovrasta la facciata della concattedrale sarsinate, l’angelo soprastante gli porge la catena, richiamata pure dai fiori sottostanti; san Mauro ha sullo sfondo il complesso di Santa Maria del Monte e riceve dall’angelo la mitra episcopale; sant’Alberico, in un paesaggio silvestre, addita il Cielo con la destra e ai suoi piedi la fonte miracolosamente scaturita; ecc. Il rosone al centro della facciata raffigura l’agnello pasquale, ritto con la bandiera crociata sul libro della vita, dal quale sgorgano i sette spiriti di Dio mandati sulla terra: a simboleggiare la risurrezione di Cristo, secondo l’iconografia della visione di san Giovanni a Patmos descritta nell’Apocalisse (4-5).

Le vetrate minori, che prendono e danno luce dall’alto della navata centrale, sono anch’esse di tre luci e nel comparto centrale portano inseriti gli stemmi dei quattro papi di Cesena (Benedetto XIII, Pio VI, VII e VIII), di cinque nostri vescovi, del Comune di Cesena e della Fondazione Almerici-Montevecchio. La cattedrale (o duomo, dal latino domus Dei, casa di Dio), posta al centro della città, è la chiesa madre (o matrice o maggiore) dove si trova la cattedra dalla quale il vescovo guida la comunità e insegna a clero e popolo; è dunque una grande aula, piena di banchi, dove si fa scuola della Parola e s’insegna la fede. Ma è uno spazio educativo speciale, dove si legge e approfondisce un solo libro, la Bibbia.

Nella cattedrale, come in tutte le chiese, la storia e la tradizione della Chiesa hanno avuto a cuore anche gli analfabeti: lo hanno fatto con le immagini, cioè con l’arte, non a caso definita nel medioevo Biblia pauperum, Bibbia dei poveri; umili e illetterati non sapevano leggere né comprendevano il latino ma imparavano dalle immagini spiegate dal predicatore sul pulpito, all’ambone o alla cattedra. Ecco perché su pareti, cappelle e finestre ci sono illustrati volti e vite di Cristo, della Madonna e dei santi, soprattutto del santo titolare della chiesa: come nel nostro caso san Giovanni Battista, raffigurato nelle sculture di Giovanni Battista Bregno (navata destra), negli affreschi di Giuseppe Milani (presbiterio), nelle vetrate di Nicola Sebastio (abside), nella porta bronzea di Ilario Fioravanti, nella statua esterna di Leonardo Lucchi. Così anche gli artisti della città diventano, con il loro talento, maestri nella scuola speciale che è la cattedrale.