Zanotti "Le mie scarpe ai piedi di Lady Gaga"

Lo stilista sammaurese è fiducioso sulla ripresa dell’economia: "La pandemia è una lezione utile. Ripartiamo dalla cose che contano davvero. Noi italiani abbiamo la creatività e l’ingegno per farcela"

Giuseppe Zanotti, a sinistra, e Lady Gaga in bianco a destra

Giuseppe Zanotti, a sinistra, e Lady Gaga in bianco a destra

Cesena, 23 gennaio 2021 - C’era un po’ della grazia e del ‘saper fare’ squisitamente romagnoli alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden alla Casa Bianca. La pop star Lady Gaga, che ha incantato tutti con la sua interpretazione dell’inno nazionale americano, calzava un paio delle celebri ‘platform’ di Giuseppe Zanotti, interamente realizzate nel distretto di San Mauro Pascoli. Un distretto che, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi, ha saputo imporsi come coacervo di laboriosità, perizia artigiana e creatività, contribuendo a fare del ‘made in Italy’ quell’eccellenza che il mondo ci invidia. 

"Non scordiamoci del capitale umano", è l'invito che Zanotti, ripete spesso. Soprattutto mentre guarda al futuro della sua azienda - e delle tante che hanno reso il ‘made in Italy’ un’eccellenza riconosciuta nel mondo, oggi minacciate dall’imperversare della pandemia. Un capitale inteso sia come il patrimonio smisurato di competenze, racchiuso tra le dita dei tanti artigiani che compongono il distretto di San Mauro Pascoli, sia come quell’insieme di emozioni, calore ed empatia che caratterizza i rapporti umani e mai potrà essere rimpiazzato da uno schermo.

Giuseppe Zanotti, come usciremo da questa emergenza? "Come dopo una guerra mondiale. Non sarà certo una ripartenza immediata, ma a piccoli passi. Con pazienza e dignità rimetteremo assieme i pezzi, cercheremo di guarire le nostre ferite e di stringerci gli uni agli altri, per attraversare questo terribile guado. Non sarà facile: ma noi italiani abbiamo la creatività e l’ingegno per farcela".

Lady Gaga (Ansa) Pochi giorni fa ha inaugurato una nuova boutique a Shanghai: un segnale che l’economia cinese è tornata a correre? "La Cina, si sa, ha dovuto fronteggiare il problema del Covid ben prima di noi: a dicembre 2019, il nostro negozio di Wuhan aveva già chiuso i battenti. Il modo in cui è stata gestita l’emergenza – con un rigore che definirei militare, improponibile alle nostre latitudini – ha avuto un impatto devastante sull’intero settore nel primo semestre del 2020. Dall’autunno scorso, le cose stanno andando relativamente meglio: i cinesi hanno ripreso a viaggiare, almeno entro i confini nazionali. Pian piano riassaporano quella normalità che, in Europa e negli Usa, resta ancora un miraggio". In questi giorni sarebbe dovuto essere a Parigi per la settimana della moda francese. Quanto le mancano gli eventi mondani che scandivano il vostro lavoro? "Durante il lockdown ho riflettuto a lungo su ciò che era diventato, negli ultimi anni, il sistema moda. E sono arrivato alla conclusione che lo stop imposto dal Covid, per quanto estremamente doloroso, sia stato un male quasi necessario". Che intende dire? "Ci eravamo ridotti a essere ingranaggi di un meccanismo impazzito, schiavi di un sistema ‘drogato’ che si alimentava di continue presentazioni, lanci di collezioni, aperture di nuovi negozi in giro per il mondo, inaugurazioni di showroom, etc. Per usare una metafora cara al nostro conterraneo Federico Fellini, eravamo tutti figuranti di un circo equestre, ignari che la magia, prima o poi, si sarebbe spezzata". Il vostro settore è in forte affanno, ma non se ne parla così spesso. È deluso? "La filiera del tessile-abbigliamento, fondamentale per la nostra economia, è stata lasciata da sola. Anziché concentrarsi soltanto sui palliativi, come i pur importantissimi ammortizzatori sociali, il governo e le associazioni di categoria dovrebbero sedersi a un tavolo e pianificare strategie a lungo termine. Altrimenti, il rischio è di disperdere, in un anno, tutto il know-how e il valore aggiunto accumulati finora". La parola d’ordine per ripartire? "Quando ero ragazzino, in estate ero solito fare l’aiutante nelle botteghe di alcuni artigiani del calzaturiero. Un giorno, mentre tagliavo la pelle, mi provocai un brutto taglio al dito. Il capo mi guardò e disse: ‘È un ottimo inizio’. Tutti intorno ridevano, ma io capii una cosa fondamentale: che la prossima volta non avrei commesso quell’errore. Sarei stato più consapevole: consapevolezza è la mia parola chiave". Prima della pandemia era abituato a viaggiare per gran parte dell’anno. Come ha vissuto la lunga permanenza nella natia Romagna? "Erano quarant’anni che non mi accorgevo dell’arrivo della primavera e non assistevo allo spettacolo della natura che rifiorisce. È stato uno shock, ma anche l’occasione per riscoprire cosa conta davvero". Cosa conta davvero? "Avere degli amici: in Romagna, in questi mesi, ho ritrovato tanti amici d’infanzia. Il più grande regalo di questo orribile virus è stato spingerci a riassaporare il calore delle persone, le confidenze senza filtro con il vicino di casa o il bottegaio di fiducia, la bellezza dei paesaggi sotto i nostri occhi". Un luogo nascosto che ha riscoperto? "Il circolo Acli di Monteleone: hanno la piadina migliore di tutta la Romagna e un giardino con una vista magnifica, abbraccia l’intero Appennino tosco-romagnolo. Quest’estate voglio portarci Renato Zero". Renato Zero? "Sì, siamo amici di vecchia data, ci sentiamo spesso. Proprio ieri gli ho promesso che, se tutto andrà bene, lo inviterò per un paio di giorni nella mia casa di Longiano: potrà vedere la campagna cesenate e assaggiare le tagliatelle fatte con le uova delle mie galline". Le galline: un’altra scoperta del lockdown? "In realtà, è già da qualche tempo che ne allevo una dozzina: probabilmente, sentivo già quel bisogno di un contatto più profondo con la natura che, poi, si è manifestato appieno con il lockdown. Le chiamo per nome, le faccio entrare nella mia auto: ci sono davvero affezionato".