Silvio Orlando in ‘Lacci’: «La famiglia è un’utopia»

Intervista al pluripremiato attore, stasera in scena al Moderno di Savignano

Silvio Orlando

Silvio Orlando

Savignano, 19 febbraio 2018 - SILVIO ORLANDO, uno degli attori cinematografici e teatrali più apprezzati, poliedrico quanto empatico, calcherà il palco del teatro Moderno di Savignano, stasera alle 21. Napoletano, vincitore di due David di Donatello e di una Coppa Volpi come miglior attore al Festival di Venezia, Orlando è il protagonista di «Lacci», spettacolo che segna il ritorno alla scrittura di Domenico Starnone, autore anche del testo «La scuola», pièce tra le più importanti della carriera di Silvio Orlando e che l’attore ha ripreso 20 anni dopo la prima messa in scena. La regia è di Armando Pugliese. In questa pièce nella quale ha accanto, nelle vesti della moglie Vanda, Vanessa Scalera, Silvio Orlando (Aldo) è un uomo di mezza età che ha attraversato una crisi coniugale innamorandosi di una donna più giovane e che dopo anni di lontananza è tornato dalla consorte e dai due figli.

Silvio Orlando, una classica causa di naufragio di tanti matrimoni.

«Troppo semplice liquidare così la faccenda. La storia racconta di un lui e una lei che negli anni ’70 sono giovani e felici e animati dal desiderio di metter su famiglia. Il tutto va inquadrato nel clima culturale del tempo e in un disamore che s’insinua giorno dopo giorno fino ad un atto dirompente: l’allontanamento da casa di Aldo nel disinteresse per le conseguenze familiari e i livori della moglie abbandonata alle proprie responsabilità».

Ma l’infatuazione finisce, l’illusione di una nuova gioventù affronta un dietrofront.

«Finisce? Aldo comunque ritorna, forse per un senso di colpa e l’esistenza della coppia pare ricominciare daccapo, ma con una stanchezza di fondo che emerge quando i due, di ritorno da una vacanza trovano l’appartamento sconvolto. Sono stati i ladri, o è quel che sembra e hanno fracassato tutto».    

Che lettura dare all’opera: la famiglia è un legame che imprigiona?

«Beh, la famiglia è un’utopia, un mito, una formula che abbiamo inventato per stare insieme. Ma non va idealizzata e va manutenuta e coltivata come un giardino. Sennò i risvolti, inaspettati, tornano con gli interessi attraverso i comportamenti dei figli. Ma queste drammatiche riflessioni è più facile farle ad un vicino di casa, un quasi sconosciuto, piuttosto che ad una moglie che perdona ma non dimentica».