L’elvetico Rocchi torna a casa sua: «Vivo là, ma non dimentico i passatelli»

Famosissimo in Svizzera, l’attore iniziò dal palco del San Bartolo

PERSONAGGIO Sotto, il brindisi di Massimo Rocchi A sinistra il servizio fatto in Biblioteca Malatestiana

PERSONAGGIO Sotto, il brindisi di Massimo Rocchi A sinistra il servizio fatto in Biblioteca Malatestiana

Cesena, 28 febbraio 2018 - C’ERA un bimbetto che giocava in strada in via del Cannone e che accompagnava il nonno a comprare le camicie. Quel bimbetto tra i banchi del liceo classico Monti è diventato un ragazzo e quel ragazzo, sul palco del teatro di San Bartolo è diventato un attore. Un attore di fama internazionale. In barba a un’agenda zeppa di impegni, ieri Massimo Rocchi è tornato a casa, nella sua Cesena, scortato dai giornalisti del settimanale svizzero tedesco Schweizer Illustreierte e dalla troupe della tv Srf, che lo hanno accompagnato nei luoghi che lo hanno visto nascere e crescere. «E’ stato un grande regalo che mi ha fatto la Svizzera in occasione dei miei sessant’anni – sorride Rocchi durante una pausa al tavolo dell’osteria Michiletta –, tornare qui è sempre un’emozione fortissima, anche se comunque il legame con la città non si è mai sciolto, grazie soprattutto a mia sorella Giovanna, insegnate di educazione fisica. Per me Cesena è lei. E i suoi passatelli».  SCHERZA e intanto non nasconde l’emozione di trovarsi a passeggiare in mezzo a un fiume di ricordi e a stringere la mano a tante persone che non lo hanno dimenticato, come lui non ha dimenticato loro. Ci sono lo storico barbiere Luciano ‘La Touche’ in piazza Amendola, o Fabio Bucci, ora dietro il banco del Caffè Babbi e che ai tempi era un amico, molto prima che un barman. Senza dimenticare lo storico negozio Candoli in via Zeffirino Re o i banchi del liceo, ora sostituiti dagli scaffali della Biblioteca Malatestiana, né tanto meno i compagni di scuola, rivisti alla sera, per l’aperitivo. «La mia vita mi ha portato fuori dall’Italia ma a Cesena ho ottenuto i miei primi successi, all’inizio a San Bartolo, poi sul palco del Bonci, che per un artista è sinonimo di consacrazione. Non credo all’idea di Nemo propheta in patria, chi fa il comico non si può lamentare del pubblico». Tra Francia (a Parigi ha studiato alla scuola di Marcel Marceau), Svizzera, Germania e tournée in tutto il mondo, c’è da chiedersi cosa resti dell’animo italiano. «L’Italiano che sono è frutto dell’italiano che ero. La caratteristiche di ‘Sburon’ e ‘pataca’ mi accompagnano ovunque. Ora se penso a me stesso, il verbo giusto non è essere, ma divenire, ma a questa terra resterò legato per sempre. Che bello incontrare un grande artista come Romeo Castellucci della Raffaello Sanzio e salutarlo in dialetto, che bello tornare e vedere la neve o chiedere informazioni sulla squadra di calcio. Che bello riabbracciare le persone insieme alle quali sono diventato grande».