Cesena, anche Cera nel 1967 fu ’americano’

Nel 1967 il Cagliari dove militava lo storica bandiera bianconera si trasformò nei Chicago Mustang giocando alcune gare... dimenticabili

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di Daniele Zandoli

Cavaliere come va?

Pierluigi Cera, classe di ferro 1941, risponde con le tradizionali gentilezza e disponibilità alla pressione del cronista ed all’ennesima richiesta di intervista. Per uno come lui che mastica calcio da quando è nato è sempre un piacere parlarne, col tradizionale slang veronese impermeabile al romagnolo, nonostante l’ormai mezzo secolo di vita da queste parti.

Ci tolga una curiosità, lei ha giocato anche in America.

"Un capitolo della mia vita sportiva che non ricordo con grande affetto, e nemmeno con grande piacere. Era il mio Cagliari che tre anni dopo, nel 1970, avrebbe vinto lo scudetto. Quello di Riva, Domenghini, Gori, Greatti. Insomma, il Cagliari dei grandi campioni".

Ma cosa successe per farvi andare a giocare a pallone nel Stati Uniti, dove allora il football non era sicuramente conosciuto come adesso, almeno a livello di fondi di investimenti?

"Fu una grande sciocchezza, il calcio non c’entrava nulla, era solo una maniera che le società si erano costruite per raggranellare un po’ di soldi. Noi da un giorno all’altro miracolosamente diventammo i Chicago Mustang e con quella maglia cominciammo cinque o sei partite, mai finite. La gente entrava in campo e picchiava l’arbitro o i calciatori. Davvero fu una esperienza traumatica. Non diceva e non disse veramente niente".

In sostanza erano tournee a campionato finito per esibizione?

"Si, organizzavano dei tornei divisi in cinque o sei gironi e le prime di ogni girone si incontravano a eliminazione fino alla finale. Ma ripeto, erano occasioni per scazzottate e disordini. Il calcio non c’entrava veramente nulla. Quell’anno, era il 1967, mancava Gigi Riva che era militare. Con noi c’erano anche prestiti di altre squadre. Ricordo che ero in camera e dormivo con Massei che militava nella Spal".

Si ricorda chi incontraste?

"Sono passati tanti anni, mi ricordo il Cerro, una squadra uruguaiana. Per il resto ho cancellato tutto, non ne serbo un buon ricordo. Infatti chiudemmo al terzo posto, non ricordo neanche come facemmo ad arrivarci, a volte neanche sapevi come era finito il match tanta confusione regnava in campo dove ogni tanto scendeva un energumeno che cominciava a menare chi gli capitava a tiro, in particolare l’arbitro. Ce ne tornammo a casa e finì lì. Cominciammo a pensare al campionato italiano e tre anni dopo lo vincemmo. Altra storia, altri ricordi".

Sa che la bandiera a stelle e strisce ora garrisce al Manuzzi?

"Non li conosco i nuovi proprietari del Cesena, vedo che ora è di moda che gli americani comprino società di calcio".

Tentano di far decollare il calcio anche dalle loro parti, ma almeno per ora con risultati poco lusinghieri.

"Non decolla, nè decollerà, non almeno a certi livelli a quelli che possiamo immaginare qui. Qualche singolo ci sta, vengono qua i migliori e sfondano, per il resto sono fermi da anni agli stessi livelli".

Di quel Chicago Mustang sente più nessuno?

"Si, ci telefoniamo ogni tanto, sento Tommasini, Reginato, anche Gigi (Riva), ha qualche problema, non esce più tanto di casa, anche se adesso è migliorato, sta bene".

Lei che vita conduce, oltre a sfogliare l’album dei ricordi. Tradizionale passeggiata la mattina presto?

"No, macchè mattina presto. Verso le undici esco e vado alla Barriera per il tradizionale caffè con gli amici, con Massimo Agostini, Sergio Domini, Rizzitelli. Siamo in sette o otto, parliamo di calcio, ma non solo. Ormai il Cesena non lo seguo granchè. Allo stadio sono venuto l’ultima volta quando mi premiarono, il Cesena ricordo che giocava contro la Savignanese, vinse 2 a 0. Da allora non ho mai più messo piede in uno stadio, a Villa Silvia non vado da 15 anni. Vedo però tante partite in televisione".

Ma fa il tifo per qualcuno?

"No, a me piace il calcio veloce, guardo solo la serie A, ammiro l’Atalanta e il Sassuolo per il gioco. La panchina d’oro? La darei a Giampiero Gasperini, senza alcun dubbi".