Modello italiano o americano, non importa La passione si costruisce intorno al campo

Uno dei pensieri più comuni di queste ore è che la nuova società statunitense si sia infilata in un ginepraio del quale non si sentiva affatto la necessità e che lo abbia fatto sottovalutando i chiari segnali che arrivavano dal mondo del tifo organizzato. Davvero Lewis e Aiello non si erano resi conto della forte contrarietà degli ultras al ritorno di Cristiano Scalabrelli in bianconero? Sono stati mal consigliati? Hanno equivocato la questione perché come ormai si ripete anche ai muri, in America coi tifosi non funziona così?

Certo, negli Stati Uniti il tifo è diverso, ma non per una questione di passione. Gli stadi che, Guinness World Record alla mano, fanno più rumore sono quelli statunitensi. Si vedano i sostenitori dei Seattle Seahawks, il cui trambusto è stato paragonato al trovarsi a fianco di un jet che accende i motori. A Green Bay i supporter, quando serve, passano le domeniche a meno venti gradi a togliere la neve non dal campo, ma dalle tribune di un impianto che ospita 80.000 persone. E a Minneapolis, dai Vikings, per chiudere una lista che sarebbe lunghissima, si entra in campo con tutto uno stadio che tiene il ritmo dello ’skol’ vichingo. Trema la terra. Non è folclore. E’ passione, che si tramanda tra generazioni. Come la nostra.

Ecco perché nella questione Scalabrelli aver sottostimato il ruolo dei tifosi sarebbe stato davvero un errore. E’ vero che l’ultima parola ce l’ha chi mette la firma sul contratto, ma è altrettanto vero che ognuno poi è liberissimo di reagire come vuole. Anche evitando di sostenere la squadra. Che però – detto per inciso – è del tutto estranea alla partita e non meriterebbe di essere coinvolta. Dunque eccoci al nocciolo. E alla vera domanda da rivolgere al tifoso americano. Perché vai allo stadio? "Perché mi diverto, perché quando risparmio per settimane per acquistare i biglietti di quella che in Italia è la curva e vedo un touchdown davanti agli occhi, prendo in braccio mio figlio e con tutta la forza che ho lo alzo sopra al parapetto, sperando che il ricevitore lo veda e gli regali un pallone che poi lui conserverà senza dimenticare mai quello che ha visto".

Il ricevitore, certo. Ma soprattutto il babbo, più emozionato di lui, che lo teneva forte, avvicinandolo al suo eroe. In tutto questo, cosa c’entra l’allenatore dei portieri? In Italia è così tanto diverso? Lewis e Aiello lo scopriranno in fretta.

Luca Ravaglia