Morganti: "Cesena, qui si coltivano talenti"

Il patron del Volley Club rilancia sulle giovani: "Non offriamo grandi ingaggi, ma grandi opportunità: la storia di coach Lucchi lo dimostra"

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di Luca Ravaglia

"Lo spartiacque non è tra le giocatrici giovani e quelle esperte, ma tra quelle che hanno talento per fare grandi cose e quelle che non ce l’hanno".

L’inattaccabile analisi di Maurizio Morganti, presidente del Volley Club Cesena, condensa tutto lo spirito col quale il sodalizio pallavolistico romagnolo ha improntato la propria attività, che dalla prossima settimana tornerà a entrare nel vivo con l’inizio degli allenamenti della prima squadra, impegnata nel nuovo torneo di serie B1.

Morganti, le carte di identità del roster confermano la linea verde.

"Sette ragazze della prima squadra provengono dal nostro vivaio e altre sono comunque qui alla ricerca di un percorso di crescita importante. Il punto è che abbiamo grande appeal nei confronti delle promesse di questo sport".

Qual è la ricetta?

"La stessa che ha funzionato anni fa a Ravenna nel settore maschile, quando arrivò un certo Marco Bonitta... Per attrarre talenti serve offrire un percorso di qualità: mettere a capo di un progetto pluriennale una figura di riferimento universalmente riconosciuta è dirimente. Nel nostro caso c’è Cristiano Lucchi, che - tanto per citare un esempio - ai tempi della sua permanenza nel Club Italia ha fatto crescere una nutrita parte delle campionesse di oggi. Se lo ricordano in tanti...".

Dunque la scelta sta pagando?

"Senza dubbio. La nostra politica non è quella di offrire super ingaggi, ma di dare super opportunità. L’offerta che chi ha talento apprezza di più, perché soprattutto per i giovani, la crescita individuale di oggi fa la differenza nella carriera di domani".

Si può far collimare un valido settore giovanile e con ambizioni importanti della prima squadra?

"Sono due lati della stessa medaglia e i fatti lo dimostrano. Il club è costantemente in crescita e la nostra storia parla di promozioni in C, poi in B2 e poi ancora in B1, sempre grazie alle vittorie sul campo, non con l’acquisto di titoli".

Pensare alla A2 è utopia?

"Affatto, ma a una condizione: per salire di categoria, deve salire la qualità delle atlete di casa nostra. Quando vincemmo la B2 lo facemmo con un gruppo di ragazze che avevano tra i 18 e i 20 anni, decisamente più giovani rispetto alla media delle altre squadre. Ma, mi ripeto, in campo contano i punti, non le carte di identità. Siamo in B1 da diverse stagioni e ormai abbiamo dimostrato di poter gestire bene la categoria: il nostro organigramma societario è pronto a un eventuale passo, che di certo non ci spaventa, ma che vogliamo fare confermando l’ottica della continuità. Sostenere un grosso investimento per concederci un passaggio in A non è nel nostro stile: se andiamo, ci andiamo con le basi solide per restarci".

Dunque il cerchio si chiude intorno al settore giovanile. Che prospettive avete per i tesseramenti del 2022-23?

"Durante la pandemia abbiamo perso tra il 10 e il 15% degli iscritti, contenendo comunque i danni e fermandoci come numero assoluto sopra gli 800 tesserati. Ora vogliamo tornare ai livelli pre covid, superando i 900".

Numeri molto importanti.

"Per noi, ovviamente, ma anche per le atlete, gli atleti e le loro famiglie. I dati dicono che negli ultimi due anni a rinunciare a fare attività fisica sono stati soprattutto bambine e bambini in età da scuola elementare, alle prese con le stringenti norme anti contagio. E’ il momento di rimboccarsi le maniche per spingerli a tornare in palestra, per far abbracciare loro con convinzione quegli stili di vita virtuosi che una volta appresi poi ti accompagnano sempre, anche da adulto, con evidenti vantaggi per la salute. Dei singoli e della collettività".