Rossi: "Le passioni non hanno categorie"

L’esterno della Cesena 2005 è tornato dove era cresciuto prima di approdare in B ai Tigers: "Qui sono a casa, l’entusiasmo è contagioso"

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di Luca Ravaglia

Tutto quello che serve sono un pallone e due canestri. Il resto, compresa la categoria nella quale si versa sudore, viene dopo.

Ecco perché il sorriso di Filippo Rossi, 24enne cesenate punto di riferimento della Basket 2005, impegnata nel torneo di serie D, è lo stesso di quello che sfoggiava quando calcava i parquet della B con la maglia dei Tigers. Perché nel frattempo la squadra tigrata ha lasciato Cesena e invece lui, dopo una parentesi a Forlimpopoli, la scorsa stagione è tornato in città, indossando la canotta del club che lo ha visto crescere.

Rossi, ha scelto col cuore?

"Ha fatto tutto la passione per questo mondo. Lo dimostra il fatto che certo la serie D nella quale gioco ora è ben diversa rispetto alla B, ma l’entusiasmo è lo stesso. Cambia l’approccio, perché chi scende in campo in questa categoria considera il basket soltanto una passione e non un lavoro. In squadra c’è meno competizione e su tutto spicca la grande voglia di divertirsi".

E’ già un veterano.

"Ho 24 anni, ma sono il terzo più anziano... Sorrido, ma sono contento del mio ruolo e del contributo che sto dando all’ambiente. Non parlo di punti segnati, ma del supporto e dei consigli che posso dare agli altri ragazzi, molti dei quali sono alla loro prima esperienza nel mondo dei senior".

Nella Basket 2005 è di casa.

"Sono arrivato in questa società quando avevo 10 anni e ci sono rimasto fino a 19".

Poi erano arrivati i Tigers e la serie B.

"Due stagioni incredibili, nelle quali ho imparato tantissimo, a partire dal modo in cui è bene affrontare questo tipo di sport. Avevo un ottimo rapporto con tutti, dalla società alla squadra: con molti ragazzi sono rimasto in contatto".

E’ cresciuto anche tecnicamente. Difficile dimenticare la sua super gara difensiva che portò a un corroborante successo contro i cugini di Faenza.

"Vero, ma non c’è solo quello. Eravamo proprio forti: il primo anno arrivammo secondi in Coppa Italia e a un tiro della A2. L’anno dopo, quando eravamo ancora più competitivi, il covid cancellò tutto. Il mio rammarico è quello dell’incompiuto. Se avessimo continuato a giocare quel torneo, molte cose ora probabilmente sarebbero diverse".

Si riferisce ai Tigers e a Cesena?

"Una squadra di primo piano in città fa bene al movimento, è evidente. Accresce la passione nei giovani e fa da traino a tanti progetti. Era l’occasione buona per unire tutta la pallacanestro cesenate in un’unica sfera, non si è fatto e si è persa un grande chance. Non so se ci saranno - a breve - altre occasioni simili".

La D le sta stretta?

"Non in quanto tale. Mi diverto moltissimo, gioco insieme a mio fratello Federico che riesce a far convivere il basket col lavoro e a tanti amici coi quali sono cresciuto. Però sì, a Cesena sarebbe bello tornare ad avere anche la pallacanestro maschile ai piani alti".

Che dice ai giovanissimi per tenerli lontano dal divano?

"Che sul parquet ci si va per passione, non per dovere. E in effetti la passione sa fare grandi cose, unita al fascino di questo sport. Dunque il passo più difficile è il primo: una volta che sei dentro, col pallone in mano, circondato dall’entusiasmo della tua squadra, ti rendi conto che quello è il posto migliore dove stare".