Bronchi artificiali, "bimbo salvo grazie al nostro stent"

Al Bambin Gesù gli è stato impiantato quello realizzato in 3D dall’azienda Prosilas. "Grande gioia, ci piacerebbe conoscere il piccolo"

A destra, Vanna Menco dell’azienda Prosilas, a sinistra una collaboratrice

A destra, Vanna Menco dell’azienda Prosilas, a sinistra una collaboratrice

Civitanova Marche, 5 dicembre 2019 -  Un bambino di 5 anni potrà cominciare a vivere la sua vita in modo autonomo, senza dipendere da una macchina che lo aiuti a respirare, risolvendo i suoi gravi problemi alle vie respiratorie che rischiano di portare anche ad arresti cardiopolmonari. Il miracolo lo hanno fatto i medici dell’ospedale Bambin Gesù di Roma, assieme alla Prosilas di Vanna e Giulio Menco, azienda civitanovese che opera nell’additive manufacturing a supporto dell’innovazione tecnologica e si occupa di stampaggio 3D.

La dirige Vanna Menco, una ventina i dipendenti. L’azienda è stata aperta nel 2003. Una storia giovane, quindi, ma anche la conferma che oggi la tecnologia è capace di fare veri e propri miracoli quando, dietro l’esperienza e la preparazione, c’è anche la volontà di studiare e scoprire sempre nuove applicazioni. Ma che c’entra un’azienda che si occupa di 3D con un bambino che soffre di una malattia chiamata tracheomalacia e ha difficoltà respiratorie? C’entra, perché i medici del Bambin Gesù per risolvere i suoi problemi gli hanno impiantato un bronco artificiale realizzato dalla Prosilas in materiale biocompatibile, capace di essere riassorbito di pari passo con la crescita e senza effetti collaterali. L’intervento risale a metà ottobre, il bambino oggi è tornato a casa e non ci sono segni di rigetto.

Vanna Menco, un miracolo?

«Un fatto che ci riempie di gioia e apre la strada ad altre applicazioni in campo biomedico e sanitario. Grande gioia perché nello specifico si trattava di un bambino, ma anche per la consapevolezza che in futuro si può ancora intervenire in casi simili e anche in altri campi».

Che cosa chiede allora? «Non chiedo nulla, ma l’ auspicio è che la comunità scientifica capisca che questa tecnologia potrà essere di supporto sostanziale alla scienza medica. Quello sul bambino è il primo intervento del genere in Europa, ma ci sono altri progetti in altri settori che pure potrebbero essere applicati in modo efficace».

Come è nata questa bella storia? «La prima richiesta ci venne fatta nel 2017. È stato un ricercatore del Bambin Gesù a chiederci se eravamo in grado di realizzare uno stent in policaprolattone, che allora non conoscevamo e di cui non sapevamo neanche l’esistenza. Noi ci interessammo alla proposta e avviammo delle ricerche, investimmo in un macchinario e realizzammo il dispositivo richiesto ricorrendo alla tecnologia 3D. Un investimento che ha prodotto effetti straordinari non solo sotto il profilo tecnologico ma anche umano».

Perché la richiesta è stata fatta alla Prosilas? «È stata fatta a noi e a una ventina di aziende europee. Noi ci abbiamo creduto. La richiesta, poi, ci è stata fatta ’per uso compassionevole’: la sfida è stata vinta».

Per la Prosilas si apre un futuro pieno di progetti e altre ricerche nel campo medico-scientifico? «Certamente».

Lei ha conosciuto il bambino? «No, ma mi piacerebbe conoscerlo. So soltanto che è un bambino del sud Italia, forse pugliese, forse di Bari. Oggi ci sono problemi di privacy che ci impediscono di incontrarlo, ma un domani spero di poterlo fare. Piacerebbe a me, ma anche a quanti hanno collaborato per coronare positivamente questo progetto, dal direttore tecnico Giulio Menco ai tecnici dell’azienda e a quanti, per un motivo o per l’altro, sono stati coinvolti nel progetto, dal dipartimento diagnostica per immagini di Aurelio Secinaro alle università di Reggio Emilia e Modena, all’equipe chirurgica del Bambin Gesù».

Un desiderio? «Quello accennato prima: che la comunità scientifica capisca che si può fare molto, in questo campo e anche in altri».