Civitanova, infermieri picchiati al pronto soccorso: il racconto dell'aggressione

"Ho provato a farlo ragionare, ma lui non ascoltava. Ematomi, costole incrinate e contusioni varie: tutti noi abbiamo avuto diversi giorni di prognosi"

Un medico di pronto soccorso (foto d’archivio)

Un medico di pronto soccorso (foto d’archivio)

Civitanova, 6 settembre 2022 - "Sono deluso e amareggiato. Insieme ai colleghi ci facciamo in quattro, sosteniamo turni sfiancanti, stiamo cercando di umanizzare quanto più possibile il percorso nell’interesse dei pazienti e c’è chi ci ripaga aggredendoci. Davvero questa situazione non è più accettabile".

Parla uno degli infermieri aggrediti sabato sera da un ventisettenne al pronto soccorso dell’ospedale di Civitanova. Non ama stare nel "circo mediatico" e chiede di restare anonimo, ma ha deciso di raccontarci quello che è successo come contributo per denunciare un clima che è andato via via peggiorando, affinché si prendano – finalmente – i necessari provvedimenti a tutela di tutto il personale sanitario.

"Io ero all’interno e stavo uscendo attraverso il corridoio per andare dai familiari di un paziente che avevo in cura per farmi dare dei dati – racconta –. La ragazza, che era arrivata con un’ambulanza, era già dentro. Quest’uomo era entrato bloccando la porta dell’anticamera del triage, che aveva impropriamente aperto. Quindi si era posto in mezzo impedendo il passaggio e urlando che voleva vedere la ragazza. Era visibilmente agitato. Ho cercato di parlarci e di rassicurarlo, spiegandogli che, effettuata la presa in carico della donna, avrebbe potuto vederla. Ma non ascoltava. Gli ho anche fatto notare che stava interrompendo un pubblico servizio. Non c’è stato verso. Pretendeva di vedere la ragazza subito".

Gli sforzi sono continuati. "Gli ho detto che si trattava di aspettare alcuni minuti, ma continuava ad urlare e diceva: “Non toccatemi’’. Poi, all’invito di farsi da parte, sono partiti calci e pugni. Non ho reagito per non peggiorare la situazione, ma di fronte a quella furia che sembrava incontenibile, bisognava fare qualcosa". E, infatti, in soccorso dell’infermiere sono arrivati i suoi colleghi. Pian piano, a fatica, l’uomo è stato immobilizzato, sospinto verso l’esterno e allontanato.

Intanto però, i colpi inferti avevano lasciato il segno: ematomi, costole incrinate, contusioni. "Tutti abbiamo avuto diversi giorni di prognosi. Non so cosa sarebbe potuto accadere se l’uomo fosse stato armato. Ma ciò che più mi addolora e mi dispiace è che fenomeni di aggressione, oltre a quelli verbali, sono in crescita. Sono soggetti che arrivano qui e pretendono, come se esistessero solo loro, in barba ad ogni regola, comprese quelle relative al Covid, e senza tener conto di dove si trovano. Credo che ci sia dietro anche un disagio sociale diffuso che richiede una sempre maggiore attenzione alla sicurezza, ma è necessario che si faccia qualcosa".

Nei primi mesi della pandemia, infermieri e medici erano considerati eroi. Ora si è tornati indietro. "Da angeli della pandemia – dice l’infermiere –, siamo passati a subire ogni giorno insulti, spintoni, minacce. Tante volte lasciamo andare, ma credo che ormai sia stata superata la soglia di guardia". Ripristinare il posto di polizia, si dice. Ma forse serve anche altro. Certo è che il personale sanitario, in particolare gli infermieri e i medici del pronto soccorso, non può essere lasciato in balìa di una violenza crescente. Bisogna evitare che, calato il sipario su questo ennesimo, drammatico episodio, tutto resti come prima.