La Cassazione conferma l’ergastolo per Riaz

Respinto il ricorso: "L’imputato ha violentato e ucciso la figlia". L’avvocato Carnevali: "Esito prevedibile ma che non ridà vita ad Azka"

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di Paola Pagnanelli

Condanna definitiva all’ergastolo per Muhammad Riaz, per aver violentato e ucciso la figlia 19enne Azka. Lui si è sempre dichiarato innocente, ma le prove su di lui sono state ritenute schiaccianti. Dopo le condanne al massimo della pena in primo grado e in appello, mercoledì il caso è finito al vaglio della Corte di Cassazione, che in tarda serata ha respinto il ricorso dell’imputato. La storia emerse, in maniera drammatica, il 24 febbraio 2018: in un pomeriggio piovoso una ragazza, Azka Riaz, di 19 anni, fu investita da un’auto a Trodica di Morrovalle. In un primo momento si pensò a un incidente. Ma il comandante della Polstrada Leonardo Bonfitto, insospettito, informò subito la procura. Il sostituto procuratore Micaela Piredda, sentendo il nome della vittima, lo ricollegò subito a un’inchiesta per maltrattamenti sui quattro figli di un uomo, avviata in seguito alle segnalazioni dei servizi sociali di Montefano e Recanati, dove la famiglia aveva vissuto negli ultimi due anni. Azka era una delle vittime dei maltrattamenti, e avrebbe dovuto essere sentita tre giorni dopo in procura, con la sorella e i fratelli più piccoli, per capire cosa avvenisse in casa loro con il padre, Muhammad Riaz. L’uomo, mentre la figlia era sull’asfalto senza vita, era fermo sul bordo della strada, impassibile. Raccontò di aver avuto un guasto con l’auto, di aver chiesto alla figlia di aspettarlo sul ciglio della carreggiata mentre lo riparava, e di aver poi visto che era stata investita. Fu subito arrestato per omicidio. Due consulenze tecniche, una sulla dinamica dell’investimento e l’altra medico-legale, hanno escluso che la ragazza fosse in piedi all’arrivo dell’auto a Trodica: era già a terra, svenuta forse a causa di un colpo al viso. Era stato il padre a metterla sull’asfalto. In seguito, la sorella e i fratelli della ragazza hanno descritto cosa avveniva in casa. Azka era stata violentata più volte dal padre, e costretta ad abortire con farmaci inviati dal Pakistan. In tribunale era stata chiamata anche la madre, che viveva in patria; la donna aveva riferito che i figli la chiamavano chiedendole aiuto. Aveva anche riferito una frase del marito nel corso di una telefonata: "Se fossimo in Pakistan, l’avrei già uccisa". L’uomo invece aveva negato tutto. Aveva sostenuto che le figlie volessero essere indipendenti, frequentare alcuni ragazzi, per questo si erano inventate quelle storie. Non c’era alcun riscontro però alle sue parole. Riaz è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno per un anno e mezzo, il massimo. La pena è stata confermata anche dalla Cassazione, a cui lui si era rivolto con gli avvocati Giorgio Laganà e Flavio Rossi Albertini: l’uomo resta in carcere. Soddisfatto l’avvocato Paolo Carnevali che, con l’avvocato Maurizio Nardozza, assisteva la moglie e i tre figli di Riaz: "Un esito prevedibile, che però purtroppo non restituisce alcun futuro alla povera Azka".