Mercatone Uno Civitanova Marche, lavoratori nel limbo

Rinviato a domani il vertice a Roma. Grande attesa tra i dipendenti: stiamo vivendo mesi di angoscia devastante

La protesta dei dipendenti davanti al punto vendita di Civitanova

La protesta dei dipendenti davanti al punto vendita di Civitanova

Civitanova Marche, 12 novembre 2019 -  Sui tavoli romani si doveva discutere ieri lo spinoso problema del Mercatone, il vertice è stato rinviato a domani. La questione è di vitale importanza e sono tante le famiglie che aspettano si apra uno spiraglio per una soluzione credibile. Per i dipendenti del punto vendita di Civitanova e degli altri cinquanta diffusi in tutta Italia sono momenti di angoscia ma anche di speranza. L’annuncio della chiusura risale al maggio scorso, improvviso e inaspettato: sei mesi di rabbia e sofferenza.

«Siamo di fronte a una situazione drammatica», dice Emilio Gasparroni, dipendente della prima ora del megastore, sposato e con una figlia. «Sono entrato nel 1999 – aggiunge – quando ha aperto, e nessuno si aspettava una fine del genere sia perché ci è stata sempre nascosta sia perché il punto di Civitanova è stato sempre uno dei più produttivi. Una cassa integrazione a 750 euro al mese è peggio del reddito di cittadinanza. Senza considerare che nulla si sa sul suo rinnovo, visto che la scadenza ci sarà il 31 dicembre. Adesso confidiamo nell’incontro di mercoledì e aspettiamo, non senza angoscia. Da questo vertice vorremmo soprattutto quella chiarezza che è sempre mancata fino a oggi. Si parla di 11 o 12 offerte da parte di alcuni gruppi, tra cui uno della nostra regione. Staremo a vedere, ma è certo che anche il governo deve fare la sua parte».

Anche Elisabetta Gaetani chiede chiarezza: sposata con tre figli, di cui uno frequenta l’università e uno il liceo, mentre il più grande ha una sua autonomia. «All’inizio è stata veramente tragica – dice –, soprattutto per il modo in cui ci è piovuta addosso la notizia. Con il tempo è venuta una certa tranquillità ma si fa per dire. Dal canto mio sono fortunata perchè ho un marito che lavora e capisce la situazione. La cosa più importante è salvare la pace in famiglia. Per tirare avanti, adesso, stiamo attingendo alle poche risorse prima accumulate. Che cosa mi attendo dal vertice romano? Che si apra un piccolo varco alla speranza, uno spiraglio da dove si possa intravedere un futuro meno amaro. Trovare lavoro, oggi, non è facile, ma io voglio essere comunque ottimista».

Parla di «angoscia devastante» Giusy Recchi, anche e soprattutto sotto il profilo morale e psicologico. «Questa azienda – dice – da noi ha sempre preteso tutto, ci ha chiesto di lavorare di sabato e di domenica e lo abbiamo fatto, per essa abbiamo dato l’anima sacrificando anche i momenti da dedicare alla famiglia, che si sia arrivati a questa decisione è umiliante, come lo è una cassa integrazione a 750 euro. Non parlo per me, ho figli grandi e non mi trovo in particolari difficoltà, ma per qualche altro, con cui ho lavorato fianco a fianco per anni, la situazione è veramente disperata».