L'esito della crisi. Un accordo complicato

Scommetta un euro: elezioni o accordo con i 5 Stelle? L’alto dirigente del Pd allarga le braccia: «Stasera non sono in grado di scommettere...». E i grillini che dicono? «La situazione è fluida...», sospira uno dei loro dirigenti più seri. Ci provano, ci proveranno, ma l’accordo è tutt’altro che scontato. Perché, dopo un incontro che le due parti hanno definito costruttivo, il M5s ha smentito un incontro Di Maio-Zingaretti nel fine settimana (e invece i due si sono visti)? Una cosa è certa: mercoledì mattina Mattarella o conferisce l’incarico a un presidente del Consiglio frutto di un accordo o scioglie le Camere e nomina un governo tecnico che vada alle elezioni e magari smini in anticipo l’incubo Iva sul quale tutti i partiti concordano. Restano quattro giorni, non gli 89 della crisi dell’anno scorso. Che significa perderne due? Nel Pd si ha il sospetto che il M5s non sia ancora in grado di decidere. Teme che si stiano confrontando tre scuole di pensiero: una vuole le elezioni, una l’accordo col Pd, la terza un clamoroso ritorno con la Lega. I Democratici hanno chiesto che si cucini la pizza in un solo forno. 

I Cinque Stelle hanno detto che avrebbero riferito ai capi del partito. Se un secondo forno c’è, è clandestino. Ma da qualche parte si vede un po’ di fumo abusivo... Per Di Maio il ritorno con Salvini vuol dire l’agognato palazzo Chigi, l’accordo con il Pd un posto di governo in seconda fila: buona visuale, ma seconda fila, a meno che davvero il Pd non gli dia l’Interno per fargli rimangiare il decreto sicurezza e la politica sull’immigrazione. Le elezioni – terza opzione – porterebbero alla perdita della premiership. Dalle elezioni hanno certamente da guadagnarci soltanto Salvini, Meloni e Zingaretti. Il Pd può crescere di 5 punti rispetto al 18,7 dello scorso anno e soprattutto riequilibrare i gruppi parlamentari in danno di Renzi. Che, perciò, accusa Paolo Gentiloni di voler far saltare tutto. I 5 Stelle rischiano di essere decimati e non tutti hanno un lavoro d’oro da recuperare.

Finora i temi più spinosi non sono stati affrontati. Il Pd (sorpresa) è disposto ad abiurare al suo voto per tre volte negativo sulla riduzione dei parlamentari. La gente applaude alla ghigliottina di 345 teste (da 930 a 400 deputati e 200 senatori). Ma se la Francia e la Gran Bretagna con una popolazione simile alle nostra hanno rispettivamente 572 e 650 deputati e la Germania con 82 milioni di abitanti schizza a 709 qualche ragione ci sarà. Con 200 senatori, si rischia che cinque di essi siano in grado di far passare da soli una legge in commissione deliberante. Quindi serve una nuova legge elettorale: proporzionale pura, tipo prima Repubblica, così Salvini impara a voler vincere da solo. E soprattutto non potrà designare il prossimo capo dello Stato. Su questo un accordo sembra possibile, anche se i 5 Stelle rischierebbero di scendere da 330 parlamentari a una novantina. Sul resto non si è detto nulla. Staremo con la Russia o l’America? A favore degli F 15 o contro? Con Maduro o con Guaidó? Per i porti chiusi o aperti? Per le grandi opere o contro? Per il reddito di cittadinanza o quello di inclusione? Per la riforma giudiziaria di Orlando o quella di Bonafede? E le tasse saranno o no ridotte? Verrebbe da dire: il Paese aspetta. Eppure un po’ di fretta ci sarebbe.