L'amica geniale e il dialetto da difendere

La lettera. Risponde il condirettore del Resto del Carlino Beppe Boni

Bologna, 13 febbraio 2020 - Mi sia permessa una critica alla trasposizione scenica del bellissimo romanzo di Elena Ferrante “L’ amica geniale”. Il romanzo è scritto in italiano, ma nella trasposizione si è preferito far parlare tutti i personaggi in un dialetto napoletano strettissimo, ricorrendo ai sottotitoli. Certamente il linguaggio dà allo spettatore una comprensione maggiore dei luoghi in cui si svolge il racconto, ma, a mio parere, la sovrapposizione dei sottotitoli e la loro lettura danneggiano enormemente la visione scenica e la recitazione dei personaggi. Inoltre la lettura dei sottotitoli impedisce il fluire dei dialoghi e questo si nota molto bene nel passaggio dalla prima serie alle successive, quando si passa dall’età infantile a quella adulta ed i dialoghi tra le due amiche assumono sempre più consistenza ed importanza. Lo scorrimento dei sottotitoli, tra l’altro molto veloce, è sempre più ingombrante. Mi piacerebbe conoscere il pensiero di qualcuno dei vostri scrittori- poeti collaboratori. Marina Ercolani

Risponde il condirettore del Resto del Carlino Beppe Boni

L’amica geniale in versione televisiva riprende il racconto di Elena Ferrante. La serie in onda su Rai1 ha avuto un record di ascolti: è stata vista da 6.854.000 telespettatori con il 29,3% di share. Il primo episodio ha conquistato ben 7.099.000 con il 27,97%, il secondo episodio ha ottenuto 6.452.000 e il 32%. Dunque, un successo. Legittime le sue osservazioni, ma i numeri dicono che la scelta è positiva e azzeccata. La narrazione segue le due protagoniste bambine, poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, in un contesto urbano e di personaggi che ha necessità, per essere più vero, anche del dialetto. E' un percorso che narra oltre 50 anni di vita napoletana. E non è la prima volta che accade in tv e al cinema. E' successo con la serie Gomorra e con tante altre. Certo, occorre un piccolo sforzo da parte dei telespettatori, ma anche le parole, il dialetto in particolare, a volte sono necessari per far comprendere fino in fondo la realtà del racconto. E il dialetto è anche storia, cultura e memoria. Difendiamolo. beppe.boni@ilcarlino.net