Strage di Bologna, gli atti segreti. Aprire gli armadi

Lo chiedono tutti a fasi alterne, ma non si fa mai. A 39 anni dalla strage della stazione le pressioni per togliere il segreto di Stato sono trasversali. Vanno dall’associazione dei familiari delle vittime fino all’ultradestra, passando per il Pd e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ieri era in piazza a Bologna. Dietro la strage ci sono «zone d’ombra», depistaggi, indizi (ma non prove) che potrebbero portare ad un’altra verità, come la pista palestinese, rispetto alle condanne definitive dei neofascisti Mambro, Fioravanti e Ciavardini. Niente di certo, solo una possibilità. E’ ora di aprire la cassaforte. Una possibilità in più per capire meglio, per fugare dubbi storici e per dare uno stop alle dietrologie. La desecretazione dei documenti appartenenti ai servizi segreti, già visionati dai membri della Commissione Moro, possono spiegare lo scenario a monte della strage. C’è anche chi ipotizza, come l’ex deputato An Enzo Raisi, sostenitore della pista palestinese, che esiste un mistero nei misteri. E cioè che le informative del nostro capo dei servizi in Libano si fermano stranamente al giugno 1980 con l’annuncio di un possibile attentato in Italia. In agosto arriva la strage. Dopo silenzio. Possibile? Perché il capo dei servizi da Beirut non ha inviato altri messaggi? O una manina li ha fatti sparire? Anche l’ex deputato del Pd Gero Grassi insiste su aspetti che portano ad un’altra verità rispetto alla sentenza: ho visto gli atti segreti, dice, ci sono circostanze che intersecano il caso Moro e la strage. Aprire il cassetto chiarirebbe un capitolo nefasto per l’Italia. E’ ora, dunque, di fare un passo coraggioso e aprire l’armadio. Qualcuno rimarrà deluso, altri canteranno vittoria. Chi cerca strumentalizzazioni tacerà per sempre. Il via libera tocca al premier Giuseppe Conte. E’ il momento giusto, alla vigilia dei 40 anni della bomba. Adesso o mai più.