Venezia, la sposa del mare. Troppi nemici per l'indifesa Serenissima

Piazza San Marco (Ansa)

Piazza San Marco (Ansa)

Che Venezia muore, non è una cosa nuova. Anzi, diciamo pure che è normale. Tutti moriamo, fin da quando cominciamo a vivere. La Serenissima, così vittoriosa e trionfale, ha da sempre un risvolto cupo, brumoso, crepuscolare. Diciamo pure funebre: come le gondole nere che scivolano lente sull’acqua fino all’Isola dei Morti, San Michele. Morte a Venezia. Sempre in agguato, come i sicari che aspettano la loro vittima nel dedalo dei sottoporteghi, di notte; come la peste che falcidiato senza pietà i suoi figli ma senza la quale noi non avremmo quel miracolo che è la Madonna della Salute. Anche per Carnevale, sotto le bautte di un bianco cadaverico e i domino neri come corvi, la morte sembra ammiccare beffarda. Ma che Venezia muoia per acqua, che Venezia scompaia letteralmente annegata, questo perdinci, no.

Venezia è la signora del Mare, che l’ha sposato – come ogni anno proclamava il Doge dall’alto del Bucintoro, gettando l’anello nuziale d’’oro tra le acque – “in segno di perpetuo dominio”. Suo simbolo è il leone alato di san Marco, ma il suo vero animale – anzi, un adorabile, mirabile mostro – è la sirena: che vive tra i flutti e non può vivere altrimenti. E’ un grande amore, quello tra Venezia e il mare: e, come spesso accade, è un amore violento, un gioco brutale al possesso reciproco. La Serenissima è stata davvero grande finché capitale di un impero fatto d’acqua e di isole: la sua vera decadenza è cominciata da quando ha cominciato a praticar troppo l’entroterra, dalla Dalmazia al Friuli. Lì, sul mare, è stata invincibile perfino le poche volte che l’hanno sconfitta.

Piazza San Marco (Ansa)
Piazza San Marco (Ansa)

Entrate in Palazzo Ducale, ammirate il gigantesco affresco di Lepanto: una vittoria trionfale, e a nessuno passa nemmeno per la testa che si trattò di una battaglia vinta sì, ma all’interno di una guerra perduta (quella di Cipro, 1570-1572). Andate in Santa Maria del Giglio, a due pasi dall’Hotel Gritti: le isole e le fortezze di San Marco sono tutte lì, scolpite nella pietra della facciata, immote e gloriose. E ammirandole non ci si ricorda mai che sono cadute, una per una. Per secoli Venezia ha lottato contro quello sposo geloso e infido, che le regalava imperi e ricchezze ma che le corrodeva le fondamenta delle chiese e dei palazzi, che scavava sotto la laguna, che periodicamente la invadeva senza risparmiare nemmeno la sua cattedrale, poco più piccola di Santa Sofia di Gerusalemme ma – diciamolo – immensamente più bella. E la Repubblica, con il mare, era inflessibile come con chiunque altro. Le palafitte sommerse, quando marcivano si cambiavano: e non c’erano certo i sommozzatori co le bombole d’ossigeno. Si drenavano continuamente pozzi e cisterne, lottando contro l’acqua salata che di continuo corrompeva quella destinata a bere. Il Magistrato delle Acque era potentissimo, insonne, implacabile.

Nessuno poteva battere le maree, ma contrastarle di continuo, muro su muro, secchio su secchio: questo sì. Erano le regole di un condominio nel quale nessuno voleva cedere. Ancora oggi, nella città ormai deserta, tra le case vuote, spesso acquistate solo per specularci e abitate appena qualche giorno all’anno, poche migliaia di umili eroi duri come la pietra d’Istria continuano a vivere sfidando la muffa e l’umidità, gli scorpioni e le pantegane. Gli altri, i turisti, ci si riversano a centinaia di migliaia, incrementano l’inquinamento, divorano granseole e moeche, fotografano, schiamazzano e dopo se ne vanno. Portano denaro, certo: che però non basta, e che per giunta è mal distribuito perché non va a risolvere o quanto meno ad alleviare una malattia cronica che presenta sempre più 2 frequenti attacchi acuti. Il Mose è là, se ne parla di continuo e non si capisce se funziona né si sa che fine sta facendo. I politici – dice bene, esasperato, il patriarca - vengono qui qualche volta all’anno, si pavoneggiano al Lido e alle inaugurazioni delle mostre, fanno la ruota alla Biennale. Poi se ne vanno, e Venezia continua ad affondare. E’ solo incapacità e incuria? Quali e quante speculazioni ci sono dietro? Ma se c’è bisogno di soldi e i poteri latitano, se le entrate vengono tutte privatizzate e le uscite sono solo pubbliche e non bastano, di Pantalon de’ Bisognosi che pagano, al solito, ce n’è solo uno.

Il turismo en gros, immenso e iperbolico: quello dei giganti del Mediterraneo, bastimenti immensi come hotels, che passano tra i canali di San Zaccaria e le Zattere e ad ogni loro passaggio è come se da sotto la loro chiglie partissero cento siluri per volta, a colpire le fondamenta di chiese, di palazzi, di case. Nessuno li ferma perché sollevano ondate d’acqua sporca: ma anche di sghei. E la città è condannata a morte. Chi ce la restituirà, quando l’avremo perduta? “Qui – mi diceva giorni fa un collega veneziano – siamo come i californiani che aspettano il Big One, il terremoto che squasserà la penisola; o come quelli, napoletani e no, che si sono fatti le ville a trecento metri dal cratere del Vesuvio”. Si sa che prima o poi arriverà l’Apocalisse, ma ci si augura che non sia proprio oggi; e si spera comunque, quando arriverà, di essere altrove. Acqua alta: c’è sempre stata e l’hanno sempre combattuta; è entrata una dozzina di volte in San Marco e ne è sempre anche uscita: ma negli ultimi anni c’è entrata due volte di seguito, come se si volesse prendere per sempre gli ori e i mosaici. La Serenissima Repubblica l’ha subìta ma anche tenuta a bada per dodici secoli, mentre conquistava il mondo; l’imperialregio governo di sua maestà cesarea e apostolica l’imperatore ne ha proseguito silenziosamente ed egregiamente il lavoro per più di mezzo secolo; l’Italietta, e poi l’Italia fascista, e poi la “prima repubblica”, ce l’hanno fatta alla meglio. Da alcuni anni a questa parte tutti sembrano invece arrendersi o si voltano dall’altra parte. I bastimenti per turisti continuano a trasformare i canali in uno tzunami continuo, alla faccia di tutti. E sì che, in Italia, basterebbe ancora oggi una semplice ordinanza prefettizia. Scatenerebbe il finimondo: ma “cosa fatta capo ha”. Cercasi un Prefetto Mori per Venezia.