di Andrea Spinelli
Londra-Bamako, andata e ritorno. Via Ferrara. Quando Fatoumata Diawara dice di aver messo nel processo creativo del suo ultimo album "tutto il mio amore, la mia anima e il mio corpo" val la pena di crederle, perché lo spettacolo con cui si offre questa sera al pubblico del Castello Estense è un innanzitutto un viaggio sentimentale nei ritmi, nei suoni, nei colori, negli afrori della sua terra, il Mali (ma è nata in Costa d’Avorio), filtrati attraverso le esperienze europee della sua vita. Collaborazioni di peso come quella con Damon Albarn, coproduttore e pilastro proprio di quest’ultima fatica ’London Ko’ che le è valsa la nomination a due Grammy. Un incontro-scontro tra mondi (apparentemente) lontanissimi capace di sovrapporre lingua bambara e radici mandinka ad influenze afrobeat, jazz, pop, elettroniche, addirittura hip-hop, a cui però Fatoumata ha abituato il suo pubblico fin dall’album d’esordio ’Fatou’, uscito nel 2011 col ’tocco’ prezioso di anime nobili del rock e della world music quali John Paul Jones dei Led Zeppelin, Tony Allen e Toumani Diabaté. Tutto senza tralasciare una fortunata attività d’attrice in film nominati all’Oscar come ’Timbuktu’, ’Morbayassa’ e ’Clouds of Conakry’ e la presenza nei documentari ’The Africa Express’ e ’Mali Blues’.
Fatoumata, come è iniziata la collaborazione con Damon Albarn?
"L’ho incontrato nel 2012, quando nel Regno Unito mi sono unita al tour di ‘African Express’ suonando con diversi altri artisti, tra cui Sir Paul McCartney. Siamo rimasti in contatto, così, dopo avermi vista interpretare ’Negue Negue’ ai Grammy, m’ha chiamata per sapere se fossi interessata a lavorare con lui a Parigi all’opera ‘Le vol du Boli’. Era il 2020 e l’idea di ‘London Ko’ ha iniziato a prendere forma in quell’occasione. Anche se ci sono volute lunghe trattative per strappargli il tanto agognato sì".
Lungo la strada tra Londra e Bamako cui fa riferimento il titolo ’London Ko’, quali sono le altre città decisive?
"Parigi è senza dubbio una di queste, ma non l’unica in Europa, perché pure Amsterdam ha giocato un ruolo importante. E poi c’è il Nord America, gli Stati Uniti, New York…".
Cosa le hanno lasciato le collaborazioni in dischi importanti come ’Red Earth’ di Dee Dee Bridgewater e ’Seya’ di Oumou Sangaré?
"Ogni collaborazione si porta dietro una grande opportunità; quella di poter arricchire la propria anima e il proprio spirito. Le collaborazioni con Dee Dee e Oumou non hanno fatto eccezione, mostrandomi che la connessione fra noi era possibile. Sono grata ad entrambe per avermi dato una straordinaria opportunità di crescita".
Nel video di ‘Nsera’ vediamo scene di guerra. I recenti colpi di stato militari in Gabon, Guinea, Burkina Faso, Niger e Mali suggeriscono che l’Africa conosce solo l’uso delle armi per risolvere i suoi problemi politici?
"Non credo affatto. Il video ha tanti altri messaggi ed elementi molto forti, parla molto del potere femminile, ci sono tanti riferimenti che parlano di emancipazione femminile".
I colpi di stato evidenziano il fallimento degli Stati postcoloniali. Ma i fatti dicono che in Africa si corre il rischio di passare dall’influenza occidentale a quella di Cina e Russia?
"Sono un musicista, non un politico. La mia musica ha un messaggio politico, ma è di amore e unità dell’anima. Le armi e le guerre non fanno parte della mia lotta e il mio unico desiderio è condividere l’amore. La musica stessa è un mezzo di pace".
Potendo ripetere un’esperienza come quella vissuta con Albarn ne ’Le Vol du Boli’, con chi altro le piacerebbe collaborare?
"Non riesco a pianificare collaborazioni a tavolino. I miei incontri artistici sono tutti organici e arrivano quando si crea un’energia speciale. La natura delle canzoni a cui sto lavorando è l’unica forza attrattiva di artisti esterni nei miei progetti. È sempre stato così, con tutti i musicisti e i registi con cui ho lavorato".