Modena, 1° giugno 2012 - UN AMICO mi racconta di aver trovato rifugio con la madre in un albergo dalle parti a sud di Modena. Pianterreno, uscita comoda in caso di scossa sismica. La loro casa, antica e solenne, abitata da generazioni della stessa famiglia, è lesionata. Ma ogni giorno madre e figlio tornano là al paese, senza sapere se avranno la possibilità di rientrare a recuperare altri effetti personali. Dentro questo pendolarismo c’è la forza degli affetti, di esser lì nel posto dove hanno abitato il padre, il nonno, il padre del
nonno. C’è la loro anima laggiù, dove il mostro scuote la terra. E il figlio e la madre cercano di rimanere lì durante il giorno. Ecco perché chi può non si allontana dai paesi distrutti e feriti. Le tendopoli spontanee sono fiori nel disastro che sorgono in ogni giardino, in ogni angolo di verde accanto alle case. Lì si ospitano amici e parenti, si ricostruisce una comunità oltraggiata dalla terra impazzita. Si dorme in tenda perché la casa è fuori uso, ma anche solo per sicurezza. Gli alberghi? Ci vanno solo coloro che non hanno scelta. Gli altri restano. Se sono costretti nelle tendopoli azzurre degli angeli del soccorso, ma chi può si accampa davanti a casa.
Colpisce vedere, come in doppio schermo, da una parte muri distrutti e calcinacci e tutto intorno a questi paesini affondati nel verde, villaggi spontanei di tende multicolori.

E’ L’INTIMITÀ ritrovata, a bassa intensità, ma dotata di grande forza. Da qui si risale, anche se negli occhi della gente smarrita si legge una paura che non passa. L’apparato dei soccorsi, intanto, tende a organizzare l’impatto degli aiuti in modo energico e molto ordinato. Giusto. Ma a questa gente che reagisce con grande dignità dopo aver visto l’assurdo film della strage di operai sotto i capannoni, va lasciata anche libertà di organizzarsi. Verrebbe da dire che, come i clienti dei negozi, ha sempre ragione. Ora è il tempo del dolore, poi verrà il tempo della ricostruzione. Qui non hanno dubbi, come successe in Friuli. Cominciamo dalle fabbriche, poi le case e dopo le chiese. L’ammasso di capannoni di molte aziende accartocciati su se stessi sono ancora lì sulle strade. Mai più. Eppure ci sono voglia e forza per rimettere in moto l’economia di questo lembo d’Emilia dove il lavoro è un dogma. La si legge nel volto di una coppia di due giovani commercianti di frutta, marito e moglie che, come altri, nella piazzetta di Cavezzo, il paese fantasma, ogni mattina su un banco improvvisato vendono mele, pere, insalata. Il loro negozio è annientato dentro la zona rossa. Questa è l’Italia che non si spezza.

di Beppe Boni


 

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