Antartide, i militari italiani in missione a -70 gradi / FOTO

Alpini, incursori, palombari, piloti di Esercito e Marina: così gli specialisti militari italiani operano in supporto agli scienziati. Intervista al loro comandante, il tenente colonnello Luca Beraudo

Le Tute rosse della XXXIII Spedizione antartica durante l’estrazione di ‘carote’ di ghiaccio a grandi profondità nel pack.

Le Tute rosse della XXXIII Spedizione antartica durante l’estrazione di ‘carote’ di ghiaccio a grandi profondità nel pack.

Bologna, 5 febbraio 2018 - Le tute rosse italiane sono puntini che si muovono nell’immensità del panorama bianco armeggiando intorno a sonde, trivelle, maxi trattori e ruspe. Sono gli uomini della XXXIII Spedizione antartica, impegnata a svolgere cinquanta progetti di ricerca su ecosistema e clima nell’ambito del Programma nazionale di ricerca in Antartide. Le Tute rosse operano nella base ‘Mario Zucchelli’, sul promontorio di baia Terra Nova, mare di Ross. È una gigantesca operazione che prevede nel tempo l’impiego di 210 uomini, finanziata con 23 milioni di euro dal ministero dell’Istruzione e attuata da Enea (leader della spedizione Alberto della Rovere) per gli aspetti logistici, dal Cnr per la programmazione e il coordinamento scientifico e con la presenza di una nucleo di militari italiani.

Luca Beraudo, tenente colonnello dell’Esercito, bolognese d’adozione, pilota di elicotteri, è il capo della missione militare che, fra le altre cose, gestisce la sala operativa. Nella vita di tutti i giorni è capo dell’ Informazione della Divisione Friuli, che a Bologna mantiene operativa la Brigata Friuli.

Quanti uomini sono operativi nella base Zucchelli?

«Il numero varia durante la stagione: da un minimo di 20 persone per il primo nucleo di apertura della stazione, nella XXXIII Spedizione si è arrivati a un picco di 115 persone presenti in base».

A che temperature lavorate?

«La temperatura minima registrata in apertura a fine ottobre, primavera in questo emisfero, è stata di -26 gradi presso la stazione Mario Zucchelli. Per la Stazione Concordia, aperta tutto l’anno sul plateau antartico, le temperature vanno da un minimo di -70° in inverno ad un massimo di -30° in estate. La grande variabile però è il vento, che può portare a una temperatura percepita di molti gradi inferiori».

Quali sono i campi scientifici su cui lavora la missione?

«Fra i principali ci sono astrofisica, fisica e chimica dell’atmosfera, meteorologia, clima, etologia, microbiologia, glaciologia, geomagnetismo, vulcanologia».

Sul clima, che aspetti hanno rilevato fino a oggi le ricerche?

«Lo studio più interessante è quello condotto dal team ‘Beyond Epica – Oldest Ice’, un progetto europeo che sta effettuando carotaggi profondi del ghiaccio del plateau dopo aver raggiunto, negli anni passati, la profondità di 3.270 metri. Le carote ghiacciate prelevate a grandi profondità rivelano la composizione atmosferica, datandola centinaia di migliaia di anni indietro nel tempo per via delle bolle d’aria rimaste intrappolate nel ghiaccio, ricavando in questo modo grafici che ne indicano la composizione e la sua variazione nelle varie ere».

È vero che avete recuperato anche diversi meteoriti?

«Esiste un progetto di raccolta e studio di meteoriti. Su vari ghiacciai si trovano in quantità significative anche grazie alla maggiore visibilità sulla superficie bianca o azzurra su cui impattano».

A che punto è il progetto italiano dell’ aviopista a Boulder Clay?

«L’aviopista semi-preparata, realizzata da un team specializzato che include personale di reparti del genio dell’Aeronautica Militare, ha raggiunto un’estensione di 800 metri. La pista consentirà una maggiore flessibilità di programmazione dei voli. Fino a oggi i voli hanno raggiunto la Stazione Mario Zucchelli solo grazie alla pista in ghiaccio marino (pack) nella baia, per il periodo in cui questa piattaforma naturale lo ha consentito, fino a novembre. Dopo questa data, finora l’unica possibilità di raggiungere questa zona per via aerea è fornita dalle piste della base americana di McMurdo, circa 350 chilometri a sud da noi».

Quanti sono i militari presenti?

«La missione militare in supporto alla XXXIII Spedizione è di 25 unità, in linea con gli ultimi anni».

Che compiti hanno?

«Per la parte aerea il contributo arriva dall’Aeronautica militare con i meteo previsori e i piloti che, in collaborazione con piloti dell’Esercito e della Marina, gestiscono la sala operativa, la pianificazione e lo sviluppo delle operazioni di volo e della sicurezza. Per i movimenti su terreni insidiosi, come i ghiacciai, la sicurezza dei ricercatori è fornita dalle guide alpine, dagli incursori dell’Esercito e dagli incursori della Marina. Le immersioni e le attività in mare sono affidate ai palombari del Comando Subacqueo Incursori della Marina Militare, che si occupano di tutto ciò che riguarda i campionamenti e l’assistenza ai ricercatori».

Qual è la vostra giornata tipo?

«I colleghi meteo previsori sono i più mattinieri. Alle 5 sono già al lavoro per l’emissione dei primi bollettini. Sono anche gli ultimi ad andare a letto, intorno alle 2, dopo aver effettuato il lancio del pallone sonda che a mezzanotte parte verso gli strati alti dell’atmosfera per rilevarne statisticamente i dati».

E la sala operativa?

«Noi operatori radio e pianificatori delle operazioni decidiamo, sul verdetto dei colleghi meteo operatori sulla possibile giornata, quale programma di volo attivare per gli elicotteri, e se confermare il programma degli aerei, che si muovono su distanze maggiori: per loro serve buona consapevolezza delle condizioni meteo future che troveranno lungo la rotta e all’atterraggio, oltre alle condizioni presenti sulla pista di decollo. Poi elicotteri e aerei decollano. E noi li seguiamo dalla sala operativa».

Incursori, guide e palombari?

«Coordinano le operazioni con i ricercatori a cui sono assegnati in supporto. Le uscite possono anche riguardare più giornate attraverso l’allestimento di campi remoti, veri e propri accampamenti nei quali i ricercatori svolgono attività in maniera più costante, come ad esempio nel caso di studi su specie animali o ricerche a grande distanza dalla base per le quali voli quotidiani sarebbero impensabili».

È difficile adattarsi al fatto che adesso è sempre giorno?

«In Antartide occorre capacità di adattamento alla condizione di luce solare permanente e non presentare disturbi del ritmo circadiano. Il buio nelle stanze è ottenuto con semplici tendine. Ma se hai un turno a mezzanotte ti trovi in pieno sole a scrutare l’orizzonte».

Ogni quanto arrivano e come, e da dove, i rifornimenti?

«Con i voli intercontinentali e, per il cibo fresco, fino all’ultimo dei voli diretti verso la base o fino all’arrivo della nave. Nei periodi in cui tali trasporti non sono possibili, si ricorre a cibo surgelato collocato nella ‘grotta viveri’ un magazzino scavato nel ghiaccio dietro la base».

Nostalgia di casa?

«Sì, soprattutto dopo un primo periodo di entusiasmo. Le feste di Natale sono il momento più difficile. Ma sono splendidi i ricordi che ci portiamo dentro dopo un’esperienza simile».