GUIDO BANDERA
Cronaca

La sparatoria a Cascina Spiotta. L’ex brigatista Azzolini: io c’ero: "E Mara Cagol si era arresa"

Rivelazioni dell’82enne al processo per la tragedia del 1975, nella quale morì un carabiniere. La sua versione sulla morte della moglie di Curcio: "Era disarmata e urlava di non sparare"

Rivelazioni dell’82enne al processo per la tragedia del 1975, nella quale morì un carabiniere. La sua versione sulla morte della moglie di Curcio: "Era disarmata e urlava di non sparare"

Rivelazioni dell’82enne al processo per la tragedia del 1975, nella quale morì un carabiniere. La sua versione sulla morte della moglie di Curcio: "Era disarmata e urlava di non sparare"

"C’ero io quel giorno di cinquant’anni fa alla Spiotta!". Lauro Azzolini, 82 anni, davanti a un giudice rivive il suo passato da Br. La Corte d’Assise di Alessandria lo processa insieme a Renato Curcio, il fondatore, e a Mario Moretti, leader storico, per la tragedia del 5 giugno 1975. Quella mattina quattro carabinieri si imbattono quasi per sbaglio nella cascina dove in due tengono prigioniero Vittorio Vallarino Gancia, industriale vinicolo sequestrato da poche ore per finanziare "la rivoluzione". A terra restano Mara Cagol, moglie di Curcio, fra i capi dell’organizzazione, e l’appuntato Giovanni D’Alfonso, falciato dai proiettili dei due. Un tenente, Umberto Rocca, perde un braccio.

Nel gennaio 1976 Curcio viene arrestato a Milano. Nel covo, una relazione anonima del compagno senza nome, che dopo il conflitto sfugge all’arresto e ai proiettili. Oggi le impronte digitali inchiodano Azzolini, già prosciolto nel 1987, la cui sentenza è però sparita sotto l’alluvione del 1994. Ieri ha deciso di parlare e consegnare un memoriale. Si prende la responsabilità morale e politica, pur glissando sulla dinamica dell’omicidio di D’Alfonso. "Lì c’ero io", dice. Fu "un inferno che ancora oggi mi costa un tremendo sforzo emotivo rivivere, al termine del quale sono morte due persone che non avrebbero dovuto morire, il padre di Bruno D’Alfonso e Mara".

Mara, all’anagrafe Margherita, che aveva fatto evadere Curcio dalla cella, evoca il ricordo di una "donna eccezionale, compagna generosa". "La morte di una persona cara è un dolore incancellabile che ti porti dentro per tutta la vita, per tutti e senza distinzioni". Una persona cara, come per il figlio Bruno l’appuntato D’Alfonso. "A distanza di 50 anni si è deciso di portare quel giorno maledetto in un processo, oggi che di anni ne ho 82, e tutto intorno a me è cambiato rispetto a quando ne avevo meno di 30, e – rivendica nel gergo dell’organizzazione –, nel contesto delle lotte di classe, nel duro conflitto sociale, insieme a tanti altri compagni pensavamo di fare la rivoluzione".

Azzolini vuole parlare "prima che lo facciano altri, perché io sono l’unico che ha visto". E rivendica la paternità del testo trovata nel covo di Curcio. "Voi la leggerete, io non ci riesco: mi fa rivivere una prolungata sofferenza". "Da pochi mesi ero a Torino e da operaio mi ero impegnato al lavoro di coordinamento delle avanguardie nelle fabbriche – spiega Azzolini –; dopo l’arresto di due compagni entro nella clandestinità nel momento in cui per autofinanziamento l’organizzazione decise di sequestrare un ricco imprenditore". Il ricco imprenditore è Gancia, morto nel 2022 novantenne. "Il tutto avrebbe dovuto concludersi in pochi giorni senza conseguenze né per il sequestrato né per noi". Ma "il tutto" va storto. "Il giorno stesso del sequestro viene arrestato un compagno che si dichiara ‘prigioniero politico’ e l’indomani ci facciamo prendere alla sprovvista – ricorda Azzolini –. Mara e io avremmo dovuto controllare a turno l’unico viottolo di accesso, ma d’improvviso sentimmo dei colpi forti alla porta e ci accorgemmo della presenza di un carabiniere. Ci cadde il mondo addosso. Ci prese il panico". "Ho sentito dire che saremmo stati addestrati, ma non è vero – ancora Azzolini –, non sapevamo cosa fare. Decidemmo di fuggire abbandonando l’ostaggio". "Usammo le due piccole ‘Srcm’ – dice Azzolini, riferendosi alle bombe a mano –, lanciate senza mira avrebbero disorientato i CC aprendoci la fuga verso le auto". Una strategia disperata. "Sentimmo colpi verso di noi, rispondemmo con qualche colpo". In pochi secondi, per una delle bombe a mano, perde un braccio Umberto Rocca. Azzolini, però, non lo cita. Come non riceve menzione D’Alfonso, che proprio lì muore. Azzolini si dilunga sulla fine di Cagol. L’auto dei militari sbarra la strada.

"Mi affiancai a Mara che era già sul prato. Notai che sanguinava da un braccio. Mi disse che non era niente. Le dissi che avevo ancora una ‘Srcm’". "Al suo cenno, la lanciai e mi misi a correre verso il bosco, convinto che Mara mi avrebbe seguito. L’ultima immagine che ho è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava di non sparare…". Per i carabinieri è morta per tre i colpi partiti dopo il lancio della bomba che non uccide il carabiniere che li ferma. "Ho continuato a correre fino a una zona ben oltre il bosco, quando sentii due spari – dice invece Azzolini –. Il giorno dopo dai giornali vidi che Mara era morta".