Bologna, 9 ottobre 2023 – Sembra avere un nome la sindrome da dipendenza del lavoro e pare che chi ne soffre abbia un umore peggiore anche mentre lavora. Stiamo parlando del workaholism, fenomeno accostato ad altre dipendenze, come quella per il gioco d'azzardo o l'alcolismo.
Uno studio, pubblicato sulla rivista Journal of Occupational Health Psychology, e realizzato da Cristian Balducci, professore al Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita dell’Università di Bologna (Campus di Rimini), in collaborazione con il dottor Luca Menghini dell’Università di Trento e la professoressa Paola Spagnoli dell’Università della Campania "Luigi Vanvitelli", ha constatato che il tono dell'umore delle persone workaholic è mediamente peggiore rispetto alle altre persone, anche quando stanno effettivamente lavorando.
I sintomi
Le persone affette da questa sindrome hanno la tendenza a lavorare in modo eccessivo e compulsivo, tale da diventare un’ossessione e a provare emozioni negative – come ostilità, ansia e senso di colpa – quando non hanno la possibilità di lavorare quanto vorrebbero.
Ci sono invece ipotesi contrastanti rispetto ai sentimenti che emergono in queste persone mentre sono al lavoro. Alcuni studi suggeriscono che le persone workaholic, per giunta, provano benessere e soddisfazione durante la giornata lavorativa, mentre altri mostrano che queste emozioni positive lasciano presto il posto a un pervasivo stato disforico fatto di irritazione e depressione.
Lo studio
Nell’analisi sono stati coinvolti 139 lavoratori full-time, per lo più impiegati in attività di back-office. Il test psicologico ha innanzitutto valutato il livello di dipendenza da lavoro dei partecipanti, dopodiché, mediante una app installata sui telefoni dei partecipanti, hanno analizzato il tono dell'umore dei lavoratori e la loro percezione del carico di lavoro con una tecnica nota come campionamento delle esperienze (experience sampling method). L’app, infatti, permetteva di inviare dei brevi questionari, circa ogni 90 minuti, dalle 9 di mattina alle 6 del pomeriggio, nel corso di tre giornate lavorative (lunedì, mercoledì e venerdì).
“I dati raccolti mostrano che i lavoratori più workaholic hanno un tono dell’umore mediamente peggiore rispetto agli altri”, afferma Balducci. “Quindi non sembra vero che le persone dipendenti dal lavoro traggono maggior piacere dall’attività lavorativa; al contrario, i risultati sembrano confermare che, come in altre forme di dipendenza comportamentale e da sostanze, l'iniziale euforia cede il passo ad uno stato emozionale negativo che pervade la persona anche durante il lavoro”.
Inoltre dai risultati emerge che, a differenza degli altri lavoratori, le persone workaholic mostrano un tono dell’umore mediamente più negativo per tutta la giornata, senza variazioni significative dovute allo scorrere del tempo o alla mole del carico di lavoro. Una minore reattività dell’umore agli stimoli esterni che suggerisce un rilevante appiattimento emotivo: fenomeno ben noto in altri tipi di dipendenze.
“Questo elemento – suggerisce Luca Menghini – potrebbe derivare dall’incapacità del workaholic di moderare l’investimento lavorativo, con una conseguente significativa diminuzione delle esperienze di disconnessione e recupero, e il parallelo consolidarsi di un tono affettivo negativo”.
Differenze di genere
Il test ha appurato che la relazione tra dipendenza da lavoro e basso tono dell’umore è più marcata nelle donne rispetto agli uomini, fenomeno che, secondo gli studiosi, potrebbe dipendere da un maggior conflitto di ruolo sperimentato dalle donne workaholic, prese tra la tendenza interna ad investire eccessivamente nel lavoro e le pressioni esterne che derivano da aspettative di genere ancora molto radicate nella nostra cultura.
Una sindrome da non sottovalutare
Il workaholic può portare a ripercussioni negative sia nelle relazioni private, sia sul benessere fisico e psicologico. Le cosiddette “malattie da superlavoro” possono aggravarsi fino a condurre alla morte da eccesso di lavoro: un fenomeno con una casistica oggi non trascurabile.
“Le organizzazioni devono mandare segnali chiari ai lavoratori su questo tema, evitando di incoraggiare un clima in cui lavorare anche fuori dall’orario lavorativo e nei fine settimana sia considerato la norma”, dice in conclusione Balducci. “Al contrario, è necessario promuovere un ambiente che disincentivi un investimento eccessivo e disfunzionale nel lavoro, promuovendo politiche di disconnessione, specifiche attività di formazione e interventi di counseling”.