Marco Biagi, 20 anni fa l'omicidio. Il figlio: "Non perdono, ma l'odio non porta a nulla"

L'assassinio, il processo e la commemorazione: cosa è successo dal 19 marzo 2002 a Bologna. Il ricordo del professore e giuslavorista ucciso dalle Nuove Brigate Rosse. Conferita a Modena la cittadinanza onoraria postuma, Bonaccini: "Le sue idee patrimonio collettivo"

Marco Biagi, 20 anni fa l'omicidio

Marco Biagi, 20 anni fa l'omicidio

Bologna, 19 marzo 2022 -  20 anni senza Marco Biagi. Oggi, 19 marzo, è l’anniversario dell’assassinio del professore e giuslavorista bolognese, nonché consulente del ministero del Lavoro, ucciso a colpi d'arma da fuoco dalle Nuove Brigate Rosse a Bologna nel 2002.

"Un conto è perdonare, cosa che io non faccio e non farò mai, ma vivere con odio, non solo per gli assassini di mio babbo, ma anche per coloro che non sono stati in grado di proteggerlo, credo non porti a nulla", dice Lorenzo Biagi, figlio minore del giuslavorista, in un'intervista al TgR dell' Emilia- Romagna. Lorenzo Biagi ha anche commentato la proposta del sindaco di Bologna Matteo Lepore di inserire la vicenda del padre nel percorso della memoria della città, insieme ad altri fatti di sangue e terrorismo. "È una proposta molto bella - ha detto - è importante che i giovani sappiano chi erano queste figure, come mio babbo, e altri servitori dello Stato". 

L'omicidio

Sei proiettili, alle 20 e 15, impedirono per sempre a Marco Biagi di rientrare in casa, in via Valdonica, dove era arrivato a bordo della sua bicicletta dalla stazione, sceso dal treno che da Modena, dove era docente all'Università, lo aveva riportato a Bologna. Era il giorno della Festa del Papà e di sopra lo aspettavano i figli Francesco, di 19 anni, e Lorenzo, di 13, che non vedeva l’ora di raccontargli della gita scolastica alla cui partenza proprio il padre l’aveva accompagnato prima di andare a Modena. Biagi morì tra le braccia degli operatori del 118.

La rivendicazione dell’attentato

La rivendicazione dell’attentato, a firma Nuove Brigate Rosse, venne inviata quella stessa notte a diverse agenzie e quotidiani e faceva riferimento a una nuova precisa strategia dell'organizzazione terroristica, volta a colpire uomini dello Stato legati ad un contesto di ristrutturazione del mercato del lavoro.

Il giuslavorista rimasto senza scorta

Il commando che portò a termine l'azione utilizzò la stessa arma del delitto D'Antona e, nel compiere l'agguato, venne agevolato soprattutto dal fatto che Biagi girava senza protezione, come dichiarò una delle donne del commando poi arrestata, la terrorista “pentita” Cinzia Banelli. Qualche mese prima, infatti, gli era stata revocata la scorta dal ministero dell’Interno guidato, in quel periodo, da Claudio Scajola. Il 3 luglio 2002, Scajola rassegnò le dimissioni. Prima di morire, Marco Biagi aveva scritto cinque lettere in cui si diceva preoccupato per le minacce che riceveva. Erano indirizzate al Presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, al ministro del Lavoro, Roberto Maroni, al sottosegretario al Lavoro, Maurizio Sacconi, al prefetto di Bologna e al direttore generale di Confindustria, Stefano Parisi.

"Marco Biagi, mio papà. Le sue idee sono vive"

Il processo ai brigatisti

Nel processo di primo grado, tenutosi il 1 giugno 2005, la Corte d'Assise di Bologna, dopo 22 ore di camera di consiglio, condannò a cinque ergastoli i componenti delle Nuove Br: Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma, Diana Blefari Melazzi e Simone Boccaccini. Il 6 dicembre 2006, la Corte d'assise d'appello confermò l'ergastolo per Blefari Melazzi, Morandi, Lioce e Mezzasalma, riducendo a 21 anni di reclusione la condanna per Boccaccini, riconoscendogli le attenuanti generiche. Nel terzo e ultimo grado di giudizio, l'8 dicembre 2007, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione di Roma confermò il verdetto emesso in secondo grado rendendo definitive le condanne ai cinque brigatisti responsabili, tranne che per Lioce che non aveva presentato ricorso in Cassazione. Diana Blefari Melazzi si suicidò in cella poco dopo la sentenza definitiva del carcere a vita.

La terrorista “pentita” Cinzia Banelli

Percorso diverso per Cinzia Banelli. Il 1 marzo 2005, nel processo di primo grado per l'omicidio di Massimo D'Antona, giudicata con il rito abbreviato, venne condannata all'ergastolo. Pena ridotta dalla seconda Corte d'assise d'appello di Roma che, il 28 giugno 2006, trasformò il carcere a vita in 12 anni di reclusione, resi poi definitivi in Cassazione il 28 giugno 2007. Nel processo per l'omicidio di Biagi, attentato a cui Banelli partecipò facendo da staffetta, venne condannata a 15 anni e 4 mesi di reclusione, sentenza annullata dalla Cassazione perché non le era stata riconosciuta l'attenuante della collaborazione. Nel marzo del 2008, nel nuovo processo d'appello, venne condannata definitivamente a 10 anni e 5 mesi. La decisione di “pentirsi” le ha permesso di ottenere la libertà condizionata nel 2006. Il 15 aprile del 2009, il Tribunale di sorveglianza di Roma le ha concesso gli arresti domiciliari. Secondo il programma di protezione riservato dal Viminale ai collaboratori di giustizia, le è stata assegnata una nuova identità, dopo essere stata trasferita in una località segreta, e riconosciuto un sussidio.

Nel 2019 riduzione della pena per Simone Boccaccini

Nel 2019, la Corte di Assise di Appello di Bologna ha ridotto di 10 mesi la pena per Simone Boccaccini, riconoscendo il vincolo della continuazione tra la sentenza emessa dalla stessa Corte di Assise di appello di Bologna per il delitto Biagi, per la quale era stato condannato a 21 anni di carcere, e quella per banda armata, associazione con finalità terroristica e rapina, con cui la Corte di Assise di appello di Roma lo aveva condannato a 5 anni e 8 mesi. Il sostituto procuratore di Bologna, Valter Giovannini, non si è opposto alla richiesta del legale dell'imputato, chiedendo, però, che la riduzione fosse minima. La famiglia di Biagi, invece, in particolare il figlio Lorenzo, ha chiesto che la pena non fosse ridotta, ma invano. I giudici hanno accolto la richiesta e la pena complessiva è stata rideterminata a 25 anni e 10 mesi.

Piazzetta Marco Biagi e la Fondazione a lui dedicata

A Bologna, la piazzetta compresa tra via dell’Inferno e Piazza San Martino, il 22 novembre 2002, è stata intitolata al professore assassinato, proprio accanto alla sua abitazione in via Valdonica. Nel dicembre 2002, invece, è nata a Modena la Fondazione Marco Biagi, in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia, che promuove gli studi sul lavoro e porta avanti il pensiero riformatore del professore scomparso. 

La commemorazione del Comune a Bologna

Oggi, alle 17, il sindaco Matteo Lepore deporrà una corona in via Valdonica 14. Alle 19 e 50, con ritrovo alle 19 e 20, dalla piazza Medaglie d'Oro della stazione centrale partirà la staffetta simbolica che, in bicicletta, giungerà in via Valdonica, seguendo il percorso che Marco Biagi compì quella sera del 2002 prima di essere assassinato. Alle 20 e 05, a conclusione del percorso, verrà deposta una corona di fiori e, dopo un minuto di raccoglimento, si svolgerà una breve cerimonia di commemorazione. Parteciperà anche il sindaco.

Cittadinanza onoraria a Modena

Il Consiglio Comunale di Modena - riunito in sessione straordinaria - conferisce la cittadinanza onoraria postuma al professor Marco Biagi. Alla celebrazione, oltre a Marina Orlandi, presidente della 'Fondazione Marco Biagì e moglie del docente ucciso e a uno dei figli Francesco, sono presenti - fra gli altri - il ministro dell'Istruzione, Patrizio Bianchi; il presidente della Regione, Stefano Bonaccini; il rettore di Unimore, l'università di Modena e Reggio Emilia, Carlo Adolfo Porro; il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli e il docente dell'università di Bologna, Enrico Traversa. Prima dell'inizio della seduta, il programma della giornata ha visto, alle 9.30, la deposizione di una corona alla lapide dedicata al professore di diritto del lavoro modenese. 

"Marco Biagi era parte di questa comunità - ricorda Bonaccini -.Ho trovato particolarmente significativa questa giornata, quest'anno si terranno diverse ricorrenze, ricorrerà il decennale del terremoto che squassò l'Emilia nel 2012, a cui spero possa partecipare il presidente Mattarella, ieri abbiamo ricordato le vittime del Covid, oggi celebriamo il ventennale della morte di Marco Biagi. Diversamente dalle altre due, che possiamo quasi definire eventi naturali, qui stiamo parlando di un omicidio, di un assassinio". Secondo Bonaccini, "nessuno potrà ridare il professor Biagi ai suoi cari, penso che vivano da vent'anni il dolore e la solitudine, ma quelle idee devono continuare a essere patrimonio collettivo, utili a dare una mano a costruire una società più giusta soprattutto per i piu' giovani".

All'epoca, "quell'assassinio sembrò quasi fuori dal tempo ma fu la lunga coda di quella stagione drammatica che il nostro Paese riuscì a fronteggiare e vincere. Non oso pensare quale forza avrebbe questo Paese per contrastare adesso una lotta come quella. Va riconosciuto che Marco Biagi, per molto tempo, fu lasciato abbastanza solo: da un punto di vista professionale, delle sue idee, come vero riformista, almeno all'inizio è stato poco riconosciuto invece quelle idee ora suonano e risuonano. Per fortuna quelle idee sono tornate di moda".

"La cosa che mi impressionava di Marco - racconta il ministro Bianchi - era questa capacità come giurista di confrontare le diverse situazioni e come intellettuale di cogliere le trasformazioni che c'erano nei sistemi produttivi, economici, sociali e umani. Vi era questa capacità anche di trovare un riformismo vero e come tutti i riformisti ha assaporato quanto fosse dura la solitudine del riformista".