Riapertura negozi Emilia Romagna, Confesercenti: "Chiusi rischiano in 15mila"

"Posti in bilico tra pubblici esercizi e negozi di abbigliamento"

Una protesta dei commercianti contro le chiusure decise per contenere l’emergenza virus

Una protesta dei commercianti contro le chiusure decise per contenere l’emergenza virus.

Bologna, 8 aprile 2021 - Riaprire subito, eventualmente rivedendo i protocolli anticovid, e rimettere mano alle politiche nazionali sui ristori, che il presidente di Confesercenti Emilia Romagna Dario Domenichini definisce "al limite della presa in giro". L’emergenza sanitaria è ben lontana dall’essere superata, come testimoniano i numeri di pazienti in ospedale e in terapia intensiva, ma per negozi e pubblici esercizi il peso di un anno vissuto con la saracinesca abbassata quasi sta diventando insostenibile. E così, nel giorno della sua giornata di mobilitazione nazionale ‘Portiamo le imprese fuori dalla pandemia’ Confesercenti pubblica le stime del conto delle chiusure per le attività.

In Emilia Romagna, secondo l’associazione, sono a rischio 15.700 posti di lavoro solo tra pubblici esercizi e negozi di abbigliamento. Più precisamente, nel comparto ‘pubblici esercizi’ sono a rischio chiusura 3.784 attività, per 13.240 posti di lavoro, mentre nel commercio del settore moda rischiano 992 imprese del commercio (per 2.480 lavoratori). Pesano le contrazioni dei consumi: il calo della spesa nel commercio di abbigliamento, calzature e articoli di moda ammonta a 1,3 miliardi, di cui 800 milioni concentrati nella prima ondata. E i ristori, appunto, non bastano: i contributi a fondo perduto per le imprese del territorio, secondo Confesercenti, registrano un importo medio di 3.044 euro. Insufficiente, attacca l’associazione: "I ristori promessi non arrivano, quando arrivano sono assolutamente insufficienti, al limite della presa in giro, così come è successo con l’ultimo decreto sostegni che ha avuto un effetto quasi angosciante sulle imprese – attacca Domenichini -. Se facciamo un confronto con i nostri colleghi europei, è assolutamente impietoso".

Domenichini ricorda anche i disordini visti a Milano e Roma martedì: "Purtroppo quando per alcuni il problema diventa solo il fatto che non si può fare la passeggiata, mentre per altri diventa sopravvivere, la situazione diventa veramente complicata. E a breve potrebbe mettere a rischio la coesione sociale". Per il presidente di Confesercenti certi episodi sono destinati "a moltiplicarsi se la politica non si occupa di riequilibrare i sacrifici". I numeri sono stati diffusi in una nota nell’ambito dell’iniziativa ‘Portiamo le imprese fuori dalla pandemia’. A livello nazionale l’associazione ha diffuso le sue richieste in una lettera aperta inviata al presidente della Repubblica e ai parlamentari e in una petizione online: tra queste, contributi a fondo perduto adeguati alle perdite subite e l’apertura di tutte le attività della ristorazione e dei pubblici esercizi, a prescindere dalle zone, declinando in modo diverso le modalità di erogazione del servizio senza prevedere limitazioni di orario.

"Siamo anche disponibili, nel caso sia necessario, a rivedere i protocolli di sicurezza contro il contagio, ma bisogna fare presto", spiega Domenichini che ieri, insieme al direttore regionale Marco Pasi, al presidente di Assoturismo regionale Filippo Donati e al numero uno di Fiepet Emilia Romagna Massimo Zucchini ha tenuto una videocall con il presidente della Regione Stefano Bonaccini e l’assessore regionale al turismo Andrea Corsini. Anche Confcommercio fa sentire la sua voce e chiede riaperture immediate e ristori più alti: "Non possiamo più aspettare: occorre aprire subito, i problemi stanno altrove e siamo stanchi di essere il capro espiatorio di questa situazione", scandisce l’associazione, sottolineando che sono circa 300mila le imprese del commercio al dettaglio non alimentare e del terziario di mercato a rischio chiusura, 240mila delle quali come conseguenza diretta della crisi di reddito e liquidità.